Del: 28 Marzo 2018 Di: Redazione Commenti: 0

Intervista di Gianluigi Mussi e Sheila Khan

Inventare il futuro: per un mondo senza lavoro è un saggio scritto da Nick Srnicek e Alex Williams e tradotto e pubblicato in Italia dalla casa editrice Nero lo scorso febbraio. Questo saggio si propone di immaginare un mondo senza il sistema capitalista h24 a cui siamo ormai abituati e con un reddito di base universale garantito per tutti, per uscire dalla logica dell’identificazione tra lavoro salariato e identità personale, la stessa che alla domanda “Cosa fai?”, ti fa rispondere il più delle volte con la tua professione, poco importa se sei molte altre cose in più al di fuori delle ore lavorative.

In occasione del BookPride abbiamo parlato con Corrado Melluso, coordinatore editoriale di Nero.

Perché avete deciso di pubblicare questa opera? È una scelta editoriale molto interessante e rischiosa… ma interessa anche al pubblico?

A quanto pare sì, altrimenti non saremmo qui a parlarne. È un libro che è uscito nel 2015 in Inghilterra e ha scatenato un enorme dibattito, tant’è che anche gli autori hanno dovuto scrivere una postfazione in cui rimodulano alcune cose che avevano scritto inizialmente. Quello che credo è che la sinistra italiana non abbia ancora affrontato certi temi fino in fondo; anzi, credo che non li abbia affrontati proprio. E quindi un libro del genere è fondamentale per iniziare un dibattito su cosa sia la sinistra oggi.

Veniamo al titolo: Inventare il futuro. Perché questo titolo?

Perché il futuro per come lo intendiamo in questo momento è monodirezionale, è un eterno capitalismo che si riproporrà per sempre, mentre nessun tipo di governo è stato eterno finora, tutte le cose umane hanno avuto un inizio e una fine. E quindi dovremo re-inventare il futuro, reimpostandolo virtuosamente a partire da quei dati salienti della contemporaneità che finiranno sicuramente per definirlo.

Prima parlavi di una nuova sinistra, ma in cosa consiste questa idea di nuova sinistra?

La sinistra tradizionale negli ultimi trent’anni ha sostanzialmente difeso lo status quo, ha difeso posti di lavoro che si stavano perdendo, quindi stava difendendo quel meccanismo di sfruttamento che c’era in atto fino a un minuto prima; ha difeso il mondo per come lo conosciamo oggi. Negli ultimi anni è stata, insomma, una forza di reazione. Una sinistra nuova dovrebbe tornare alle sue origini, ovvero chiedersi che cos’è la sinistra… e la sinistra in fondo è quel pensiero secondo il quale gli uomini sono tutti uguali e quella pratica finalizzata al che lo diventino.

Nel libro si parla di una società post-lavoro. Ci spieghi esattamente cosa significa una società post-lavoro nel concreto?

La tecnologia comporta moltissime cose. Se guardiamo i trend degli ultimi anni il numero di ore lavorate è sempre inferiore rispetto all’esplosione demografica in atto. Questo significa che c’è stata un’esplosione tecnologica. L’agricoltura o l’industria pesante sono già profondamente automatizzate. Il lavoro si è quindi spostato verso il terziario, che è quello che produce in termini capitalistici meno utili e che quindi porta poi Ventura a parlare di classe disagiata (Raffaele Alberto Ventura è l’autore di Teoria della classe disagiata, NdR), sviluppando un discorso sbagliato nel momento in cui di fronte a differenti modalità produttive, dovremmo pensare a differenti società, e quindi rispetto a un lavoro che serve sempre meno dovremo riuscire a far vivere comunque tutti. Perché una società giusta non è quella che garantisce un posto nel mondo a chi è più bravo o più produttivo; una società giusta è quella che garantisce un posto nel mondo a chi non lo è.

Quando nel libro si parla di piena automazione e reddito universale viene spontaneo chiedersi quando queste due cose potranno essere realizzate…

Speriamo il prima possibile. Però ci sono dei dati che ci danno la misura di come sarà la necessario davvero molto presto. Per fare un esempio, si potrebbe ipotizzare che quando si riuscirà a mettere il metallo nelle stampanti 3D tutta la piccola manifattura verrà spazzata via. E questo comporterà un’enorme perdita di posti di lavoro, mentre la popolazione continuerà ad aumentare. Quindi dovremo fronteggiare un problema sociale enorme, e ristrutturare i modelli finanziari ed economici per come li conosciamo oggi sarà assolutamente necessario.

A proposito di automazione del lavoro, i lavori intellettuali potranno anche questi essere sostituiti? Lavori come il correttore bozze sono molto difficili da sostituire; Word, Google e l’iPhone hanno dei sistemi di correzione automatica, ma molto spesso sono imprecisi.

Penso che anche questi lavori alla lunga verranno automatizzati. Le traduzioni online sono orrende ma sempre migliori; le correzioni bozze tramite Word sono orrende, ma sempre migliori. E si arriverà a un punto, magari non di perfezione, ma di buona approssimazione, dove basterà solo una rilettura. Ma questo non è un problema. Il punto sarà la nostra capacità di spostare il nostro lavoro di redazione su un lavoro creativo diverso.

Dovremo o rinunciare a questi lavori oppure considerare anche come un reddito universale di base che metta le persone su un piano di trattativa sindacale completamente diverso.

Per esempio, se domani mi chiedi di fare il correttore bozze a un libro per 15 centesimi a cartella ma io ho già di che campare (cioè ricevo già il reddito di base universale, NdR), quel lavoro non l’accetterò. Allo stesso modo la cosa andrà  a impattare su tutti i lavori oggi considerati più umili. Se io ho già di che campare, al call center o mi paghi moltissimo o ci vai tu. Se io ho già di che campare, da Deliveroo ci vai tu a lavorare. Ed è questo l’approccio della sinistra che critichiamo. Rispetto a un problema come quello dei fattorini di Deliveroo, quale deve essere la mia prospettiva? Fargli fare un contratto di lavoro a tempo indeterminato e farli stare sulla bicicletta fino a 70 anni oppure fare in modo che possano campare nonostante Deliveroo?

Lo stand di Nero editions al Book Pride di Milano

Come si può conciliare, se si può conciliare, questa nuova sinistra con il capitalismo?

È un percorso graduale. L’automazione di cui parlo non porterà immediatamente alla distruzione del sistema capitalistico, ma a un rimodellamento del sistema che conosciamo. Cambierà non solo le prospettive sindacali, ma anche le strutture sociali: finanche i meccanismi di oppressione identitaria potrebbero svanire attraverso un reddito di base universale. Quello, insomma, non sarà la fine della lotta, ma l’inizio verso la collettivizzazione dei mezzi di produzione. E questa non è una prospettiva ultramoderna, ma antichissima, che si rifà addirittura all’età dell’oro latina, quando già si immaginava che i frutti degli alberi potessero crescere naturalmente e gli uomini limitarsi raccoglierli.

Re-inventare il futuro: qual è la tua idea di futuro? E che direzione prenderà? E queste due prospettive coincidono oppure no?

La direzione che prenderà non posso saperla. Quello che mi auguro è un futuro senza lavoro, senza denaro, dove l’umanità possa vivere in pace e in felicità.

Concentriamoci ora sul verbo pretendere che spicca a chiare lettere sulla copertina: pretendi la piena automazione, pretendi il reddito universale, pretendi il futuro. Cosa fare nel concreto?

Magari fossimo un movimento politico! Purtroppo abbiamo soltanto pubblicato un libro scritto da due studiosi inglesi. Il punto indicato da Srniceck e Williams sarebbe proprio determinare tutta una serie di think tank che vadano a chiarire anche il processo organizzativo attraverso il quale porre queste pretese.

Però con uno slogan di un movimento di qualche anno fa potremmo dire che “Noi siamo il 99%”, quindi possiamo pretendere tutto.


Pretendere. Questa sembra essere la chiave dell’azione pratica, al di là del saggio teorico di Nick Srnicek e Alex Williams. Il verbo, forse in forma di imperativo, è ripetuto per ben tre volte sulla copertina, nero su rosso, con un font asciutto e d’impatto: Pretendi! Pretendi! Pretendi!
Chiedere con forza, volere qualcosa, non accontentarsi, allentare le redini del buon senso per trovare soluzioni nuove che non si possono concepire dentro i rigorosi schemi a cui siamo abituati: forse sono queste le chiavi per la vera rivoluzione auspicata da questo saggio.  

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