Del: 6 Marzo 2018 Di: Redazione Commenti: 0

Lorenzo Rossi

In copertina: “Gun Country” di Michael Murphy (Institute for Contemporary Art in Grand Rapids, Miami. 2014)

Che il secondo emendamento della costituzione statunitense sia oggetto di controversie sul suolo americano e abbia attirato spesso l’attenzione dei media internazionali non è una novità. Diverse volte sono state proposte delle riforme per rafforzare il controllo sul possesso di armi ma nessuna ha mai riscontrato successo al Senato l’ultima volta nel 2016 quando, dopo la strage di Orlando, sono state bocciate quattro riforme legislative relative a questo problema.

L’emendamento, che affonda le proprie radici in un passato segnato dalle occupazioni britannica e spagnola, è rimasto quindi da sempre inalterato, come il suo messaggio: “ […] il diritto dei cittadini di detenere e portare armi non potrà essere infranto. Ma cosa ha comportato questa mancanza di regolamentazione del “diritto di uccidere” – come viene chiamato da molti?

I dati sono chiari. Negli ultimi due anni, negli USA i morti per arma da fuoco hanno superato abbondantemente i 30.000 casi, dall’inizio del 2018 più di 1.800 statunitensi hanno perso la vita nello stesso modo e 30 stragi sono state compiute. All’indomani del massacro di  Parkland, in Florida, dove 17 studenti di una scuola sono stati uccisi da un loro coetaneo, il dibattito sulla facile accessibilità alle armi, anche di grosso calibro – come un fucile automatico AR-15, usato durante il massacro – si è riacceso.

Durante un incontro riguardante il problema della sicurezza nelle scuole con dei sopravvissuti di quest’ultima strage, il presidente Donald Trump si è espresso con una proposta che ha fatto gelare il sangue e indignare un numero considerevole di americani, e cioè armare e addestrare gli insegnanti. “Insegnanti/allenatori altamente addestrati ed esperti di armi potrebbero risolvere il problema immediatamente, prima che la polizia possa arrivare.”, si giustifica Trump su Twitter.

Le risposte dei diretti interessati non hanno tardato a farsi sentire, quasi tutte estremamente critiche verso questa idea.

La National Education Association (NEA), che rappresenta tre milioni di insegnanti statunitensi, ha rimarcato la necessità di leggi più severe sulla vendita e il controllo delle armi; l’American Federation of Teachers, la quale ne rappresenta altri 1,7 milioni ha riferito che gli educatori “non vogliono essere armati, vogliono insegnare”; il governatore della Florida, Rick Scott repubblicano – ha anch’egli espresso avversione per la proposta presidenziale, consigliando invece di introdurre la presenza di un agente in ogni scuola. È bene sapere che dei professori armati non sarebbero una novità negli Stati Uniti, infatti in Texas sono già presenti, ma occorre una precisazione: si tratta di educatori che lavorano presso scuole di comunità molto piccole, lontane da qualsiasi dipartimento di polizia, la quale per recarsi sul posto impiegherebbe molto tempo se ci fosse una situazione di emergenza.

Oltre alle opinioni espresse direttamente da insegnanti e associazioni, il piano del presidente presenta molti punti deboli da un punto di vista pratico, dovuti ad un’alta disinformazione. Un’indagine del FBI può aiutare a fare chiarezza a riguardo. Prendendo in analisi 160 casi di sparatorie o stragi dal 2000 al 2013 l’agenzia federale ha chiarito che in nessuno di questi episodi il killer è stato fermato da un individuo che aveva con sé un’arma da fuoco – a meno che non si sia trattato di un agente di polizia – o addirittura, in 21 di essi sono stati dei civili disarmati a risolvere la situazione.

L’indagine prende in considerazione anche l’affermazione di Trump secondo cui se gli insegnanti fossero armati, potrebbero neutralizzare la minaccia istantaneamente. Essa viene smentita, facendo riferimento al massacro della Columbine, durante il quale gli agenti avevano ingaggiato uno scontro a fuoco con i responsabili della strage senza riuscire ad eliminarli. In più, in 21 dei 45 casi – sempre tra quelli analizzati – in cui c’è stata una sparatoria tra polizia e ricercati, un ufficiale ha perso la vita oppure è stato ferito.

Si può dunque capire implicitamente che un insegnante armato avrebbe molte più difficoltà e affronterebbe più rischi se si trovasse a gestire una tale situazione.

Avendo ricevuto un considerevole numero di critiche, Trump ha modificato la sua proposta, facendo credere che il suo piano era di portare individui altamente addestrati per fronteggiare episodi simili, non introdurre direttamente le armi nelle scuole.

Ad una simile soluzione ci aveva già pensato l’organizzazione no profit Educator’s School Safety Network, che propone dei corsi di formazione in modo da far sviluppare al personale scolastico le capacità necessarie per identificare studenti instabili e seguirli con una maggiore attenzione.

Con le sue 88 armi ogni cento persone, gli Stati Uniti sono il Paese in cui questi strumenti sono più diffusi. Il problema generato non riguarda più solo le armi in sé ma si ramifica nel tessuto sociale, politico ed economico – relativamente alle lobby di tale settore statunitense. In tutto questo sempre più civili e sempre più studenti perderanno la vita in stragi o altri atti di follia.

Nonostante il 51% della popolazione sia favorevole a maggiori restrizioni sulla vendita di armi, l’attuale presidenza pare non proporre soluzioni valide alla situazione. Sarà quindi il personale scolastico l’ennesimo esercito degli Stati Uniti? O ciò che serve sono dei maggiori controlli e prevenzioni nei confronti di un “bene” che spezza decine di innocenti vite ogni giorno?

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