Cari Maniaci Seriali, è giunto il momento di parlare di una serie tv che, senza troppi giri di parole, possiamo definire come una delle più interessanti degli ultimi tempi, Manhunt: Unabomber. Creata da Andrew Sodroski e andata in onda per la prima volta su Discovery Channel il primo agosto 2017, presenta otto episodi che oggi possiamo guardare sulla piattaforma streaming di Netflix.
Come si evince dal titolo, la serie tv ci racconta la storia reale di come l’FBI sia arrivato a catturare Ted Kaczynski, l’attentatore soprannominato Unabomber (da UNiversity and Airline BOMBER), che spediva tramite posta i suoi pacchi bomba e che ha terrorizzato l’America dalla fine degli anni Settanta fino all’anno della sua cattura (1996).
Innanzitutto c’è da dire che probabilmente il coinvolgimento di Kevin Spacey tra i produttori della serie, accusato di molestie sessuali nell’ottobre 2017, non ne abbia aiutato la diffusione, tanto che l’approdo nel catalogo di Netflix lo scorso 12 dicembre 2017 sembra non essere stato pubblicizzato a sufficienza, come invece avviene per altre serie tv; si aggiunga anche il fatto che non si tratta di una serie tv prodotta da Netflix. Ma considerandone l’alto livello è davvero un peccato che non sia tra le più seguite.
Quali sono i punti forti di Manhunt: Unabomber?
In primis la fedeltà alla realtà dei fatti, e (fattore di non minore importanza) le interpretazioni di Sam Wortington (Avatar, 2009), nei panni dell’agente dell’FBI Jim Fitzgerald, e di Paul Bettany (Il destino di un cavaliere, 2001. A Beautiful Mind, 2001), nei panni dell’attentatore Ted Kaczynski. Di elevato interesse è stato, inoltre, scoprire come abbia avuto origine la Linguistica Forense, nata proprio in questa occasione. Si tratta di una disciplina utilizzata nelle attività investigative per risalire, attraverso un’analisi accurata del linguaggio e dell’idioletto (ovvero l’insieme di usi linguistici caratteristici di un individuo o di un gruppo di persone), all’identificazione dell’autore di testi anonimi. In questo specifico caso, i testi in questione sono le numerose lettere di Kaczynski e in particolare il cosiddetto The Unabomber’s Manifesto, intitolato Industrial society and its future che tuttora è possibile leggere sul sito del Washington Post: un saggio in cui egli racchiude il suo ideale di rivoluzione neoluddista, sostenendo come la tecnologia e le macchine abbiano reso l’uomo schiavo e come l’unico modo per ricominciare da capo sia far saltare il sistema attuale.
Probabilmente non vi suonerà nuova questa teoria, e infatti i più attenti e cinefili di voi coglieranno subito come questa sia proprio il tema centrale del film cult Fight Club, diretto da David Fincher e basato sull’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk pubblicato nel 1996, lo stesso anno in cui Unabomber venne catturato. Coincidenza?
Inoltre Ted Kaczynski firmava le sue numerose lettere indirizzate alle redazioni giornalistiche alle quali chiedeva di pubblicare il suo manifesto proprio con le iniziali FC acronimo per Freedom Club, che Palahniuk trasformerà qualche mese dopo in Fight Club. Altra coincidenza?
Volendo forzare un po’ la mano ci si potrebbe ricollegare anche ad un’altra serie tv, creata da Sam Esmail e in onda dal 2015, Mr Robot, in cui il protagonista, Eliot Anderson, è il leader di un gruppo di hacktivisti chiamato FSociety. In questo caso, però, Eliot è un giovane informatico, sociofobico, che utilizza proprio la tecnologia e in particolare appunto l’informatica per tentare una rivoluzione: ancora una volta un ribaltamento della società contemporanea, messo in atto per tentare di liberare l’umanità dai debiti con le banche per smascherare la corruzione e i corruttori che ai suoi occhi stanno distruggendo il mondo.
Anche in Italia abbiamo avuto il nostro Unabomber, anche se forse i lettori più giovani non lo ricorderanno. Il riferimento è al caso dell’attentatore che colpì il nord-est tra il 1993 e il 2006. Tutt’oggi pochi sono gli elementi indiziari in mano alle autorità italiane, nessun movente e qualche sospetto. Il caso è ancora aperto e per quanto ne sappiamo l’attentatore potrebbe essere morto, pentitosi e senza il coraggio di costituirsi, o solo in fase “quiescente”.
Dopo questo breve e necessario excursus, ritorniamo a Manhunt: Unabomber.
Facendo un azzardo, si può affermare di aver trovato una sorta di prequel in Mindhunter, la serie tv prodotta da Netflix che si è proposta di approfondire la nascita di una nuova metodologia di indagine e la creazione della nuova figura del Profiler, alla quale categoria di professione appartiene Jim Fitzgerald, proprio l’agente dell’FBI che scoprì l’identità del “bombarolo” statunitense. A differenza che in Mindhunter, Manhunt: Unabomber cerca di penetrare non solo nella metodologia ma anche nella psicologia del serial killer. Ci viene raccontato come Ted Kaczynski si sia trasformato lentamente in Unabomber e ci viene descritto in maniera quasi commovente il suo passato, tanto che per un momento lo spettatore arriva quasi a sentirsi in colpa perché sente di star simpatizzando con un serial killer. Questa simpatia però durerà poco, giusto il tempo che il regista impiega a sbatterci in faccia, ancora una volta, che l’uomo per il quale abbiamo provato una sorta di commozione non è altri che un assassino che per sostenere i suoi ideali ha ucciso tre persone, rischiato la vita di molte altre e provocato danni irrimediabili.