Del: 15 Aprile 2018 Di: Maria Marcellino Commenti: 0

La prima impressione che abbiamo, aperta la prima pagina degli Indifferenti, romanzo d’esordio dello scrittore Alberto Moravia, è quella di trovarci in teatro. Subito si alza il sipario e siamo in scena: «Entrò Carla», infatti, è la frase con cui ci vengono immediatamente presentati i protagonisti, membri di una famiglia vittima della decadenza della società borghese: Carla e Michele, i figli, Mariagrazia, la madre, e Leo, amante di quest’ultima.
I pensieri di Carla e Michele sono i fili conduttori, le guide che ci permettono di passare da una stanza all’altra della loro villa, al finestrino di un automobile dalla quale possiamo contemplare una città piovosa.
C’è sempre un vetro, infatti, un muro tra i protagonisti e la realtà, la stessa realtà di cui sono affamati, che vorrebbero cogliere, ma che non riescono mai ad afferrare e capire totalmente.

La loro spinta verso la vita resta in potenza, non si trasforma mai in atto e viene costantemente frustrata, resa impossibile da esprimere. L’angoscia esistenziale diventa impossibilità comunicativa, le parole rimangono strozzate in gola e un peso punge e pesa sul petto. È questo che succede costantemente ai protagonisti. Vorrebbero parlare, vorrebbero dire, ma non riescono mai. Al contrario della madre, di cui i figli sono succubi e vittime, che sembra dire tutto quello che le passa per la mente.

Pur di cambiare la loro realtà, Carla e Michele, arrivano a pianificare azioni distruttive: Michele tenta di uccidere l’amante della madre e Carla progetta di concedersi a Leo, così potrà finalmente iniziare per lei una nuova vita.
Ma la verità è che non cambia mai niente, ogni tentativo di prendere in mano le redini della propria vita va in fumo.

E i protagonisti sembrano così anestetizzati e senza speranza che si limitano a osservare da fuori, passivi, la loro condizione, come se quanto stia loro accadendo in fondo non li riguardi.

Un meccanismo di estraniamento ben riuscito che ci riporta ad altri due grandi capolavori dell’assurdo: L’Étranger di Camus e Waiting for Godot di Bekett.

Ma la condizione di Vladimiro ed Estragone è forse più felice, in quanto la speranza assurda che Godot arrivi non si spegne mai.
La condizione tragica dei protagonisti degli Indifferenti, invece, è data proprio dalla rassegnazione di fronte alla certezza che Godot non arriverà mai.

Maria Marcellino