
La teoria sull’imitazione di René Girard avanza interrogativi sul margine di libertà del singolo e sui limiti entro i quali egli si possa definire una personalità unica e originale. Il meccanismo di imitazione si fonda sul principio per il quale l’individuo sia spontaneamente portato a imitare gli atteggiamenti dei propri simili, giudicati come risposte ideali all’ambiente circostante. Esse diventano poi, in modo inconsapevole, parte integrante del comportamento individuale, perché si sono dimostrate le più adeguate in passato. Questo processo si può riscontrare fin dalla nascita nei bambini, che riproducono automaticamente le espressioni facciali della persona osservata senza che queste siano manifestazione di sentimenti interiori.
Analogamente è stato dimostrato che un individuo che afferma una verità evidente contro un gruppo di persone che invece, sapendo di mentire, dichiarano il contrario, è portato a ricredersi.
La storia e le tradizioni culturali consegnano all’individuo un tacito modo di pensare e agire che lo rendono in sintonia con il resto della comunità. Fin dall’antichità l’uomo rendeva capro espiatorio tutto ciò che era dissimile da lui: le persone non appartenenti allo stesso gruppo etnico, o i più deboli, costituivano le vittime ideali alle quali attribuire la colpa di fenomeni misteriosi, come le catastrofi naturali. Nacquero così i riti primitivi, volti a scongiurare tali tragedie propiziandosi la benevolenza degli dei mediante il sacrificio.
Girard individua nell’avvento del cristianesimo lo svelamento di questo meccanismo sacrificale e violento: la vittima, Gesù Cristo, mostra come siano in realtà i suoi accusatori i veri colpevoli. Lo studioso si concentra infatti anche sulla componente violenta dell’uomo che, insieme a quella mimetica, si manifesta anche nell’espressione dei propri valori e nel raggiungimento dei propri obiettivi: si prova desiderio per un oggetto se è conteso anche da altre persone, arrivando così a provare invidia e odio. La negazione di un’esplicita violenza genera, per Girard, un individualismo estremo, volto verso i valori principali della società attuale: benessere economico, riconoscimento sociale, carriera lavorativa. In questo modo l’idea di progresso in ambito economico, lavorativo, sociale è garantita dalla competizione mimetica.
Quello che ne potrebbe conseguire sarebbe l’intima quanto parziale ― e ironica ― convinzione di star perseguendo i propri obiettivi in modo personale quando il margine di scelta è circoscritto alla propria epoca e area geografica.
Lo studioso riporta l’esempio di due soggetti che si contendono l’oggetto del desiderio, di cui uno costituisce rivale e modello dell’altro. Tuttavia tale meccanismo può funzionare anche tra oggetto e soggetto, nel caso in cui quest’ultimo sia consapevole di un possibile rivale. A sostegno di tale teoria, si porta come esempio la letteratura, il primo ambito in cui lo studioso francese scoprì il meccanismo mimetico. Innumerevoli scrittori ― Shakespeare, Cervantes, Dostoevskij ― lo avevano infatti intuito e rappresentato, senza definirlo esplicitamente in maniera teorica.
Marcel Proust, ne La recherche, descrive come il protagonista della sua opera senta la mancanza dell’amata solo quando non sa dove si trovi e, soprattutto, con chi sia. Quando invece la ragazza ha attenzione solamente per lui ne è annoiato e vagheggia quante conoscenze si precluda per stare con lei.
Questa teoria, elaborata alla fine degli anni Cinquanta, ha impiegato decenni di ricerca e un vasto campo d’indagine disciplinare, dall’antropologia alle neuroscienze. Alcuni concetti trovano riscontro immediato e sono sostenuti da argomentazioni ed efficaci, altri, per conferma dello stesso Girard, andrebbero approfonditi per non rimanere soltanto ipotesi arbitrarie. La teoria mimetica risulta molto attuale e incline a illuminare i rapporti tra individuo e società, le loro trasformazioni e costanti nel tempo, i confini tra consapevolezza e mimesi. Di recente integrazione è la teoria sull’autoimitazione avanzata da Gianfranco Mormino, che si basa sulla centralità dell’individuo nell’imitare dapprima se stesso ― tramte tentativi più efficaci che ha scoperto casualmente nell’affrontare l’ambiente circostante ― e, solo in seguito, i propri simili.