
Questa domenica in Macedonia si è tenuto un referendum consultivo sull’accordo di Prespa, il patto siglato a giugno con la Grecia che stabilisce il cambio di nome della Repubblica di Macedonia in Repubblica della Macedonia del Nord.
L’iter legale che determinerebbe il cambiamento prevede il referendum e la successiva approvazione di un emendamento costituzionale da parte dei due terzi del parlamento.
Se l’iter legale fosse effettivamente portato a compimento si porrebbe fine ad una disputa decennale, nata dalla disgregazione della Jugoslavia.
La disputa riguarda la possibilità che la Macedonia entri nell’Unione Europea e nella Nato, uscendo così dalla sfera di influenza russa.
Fino ad oggi ciò non è stato possibile per il continuo veto esercitato dalla Grecia, che non riconosceva la legittimità del nome. Non a caso, all’interno delle Nazioni Unite ci si riferiva alla repubblica macedone come “Former Yugoslav Republic of Macedonia” (FYROM).
In quanto fonte di contrasti sull’identità culturale, non si è mai trattato di un quesito di semplice risoluzione.
La costante opposizione greca è stata determinata dalla convinzione che il riconoscimento avrebbe determinato un’indebita appropriazione della loro storia, soprattutto della fase relativa al grande impero di Alessandro Magno, nonché l’impossibilità di distinguere la repubblica con l’omonima regione greca, la Macedonia. Inoltre, all’interno della repubblica macedone, sussistono dei forti dubbi della comunità albanese che teme di vedere degradati i propri diritti etnici a fronte della crescita di un sentimento nazionalista. La stessa campagna referendaria è stata controversa. Il governo faceva propaganda affermando che un esito positivo avrebbe determinato il riconoscimento della nazionalità, della lingua e della cultura macedone. L’opposizione invece, capeggiata dal presidente Gjorge Ivanov e supportata dal nucleo più nazionalista del partito di centrodestra VMRO-DPMNE, ha invitato la popolazione al boicottaggio, vedendo nell’accordo un affronto alla popolo macedone e alla decisione presa al momento della dichiarazione d’indipendenza.
L’esito rispecchia i precedenti contrasti: non è stato raggiunto il quorum, l’affluenza si è aggirata intorno al 37%, ma più del 90% dei votanti si è espresso a favore. Si tratta di un risultato positivo ma completamente delegittimato.
Tale delegittimazione non ha comunque impedito a Donald Tusk, Presidente del Consiglio europeo, e a Jans Stolenberg, Segretario Generale della NATO, di celebrare in un joint statement “an overwhelming majority” .
L’Europa ha estremo bisogno di un segnale di apertura, tuttalpiù da parte di un paese dell’est.
Un’apertura di questo tipo costituirebbe l’emblema da contrapporre al gruppo di Visegrad e un segnale della rinascita dell’inclusione europea, soprattutto nell’ottica delle vicine elezioni europee.
L’adesione alla NATO e all’Unione ora dipende solo dal parlamento, anche se lo spettro delle elezioni anticipate alimentato dal caos politico aleggia sulla nazione.