Del: 10 Ottobre 2018 Di: Redazione Commenti: 0

La visione dell’ultimo film di Terry Gilliam L’uomo che uccise Don Chisciotte ha suscitato negli spettatori, incarnati in questo caso da due redattori di Vulcano Statale, opinioni contrastanti che qui abbiamo messo a confronto.


Francesco Porta

L’uomo che uccise Don Chisciotte è un grande e riuscitissimo adattamento dell’opera di Cervantes. L’ultimo film di Terry Gilliam, catturando l’attenzione dello spettatore in sala, ci mostra, allo stesso tempo, la parte più nobile della follia del cavaliere che combatteva contro i mulini a vento.
Cosa significa, infatti, cavalcare contro innocenti pale eoliche? Gilliam dice la sua rendendo il protagonista un ambizioso e geniale regista sognatore, il cui processo creativo è però vincolato dalle limitanti norme imposte dalla produzione e dai finanziatori. Uno splendido Adam Driver è un celebratissimo Toby Grisoni, una star del mondo di Hollywood, che riscopre un suo vecchio lavoro: un film intitolato, appunto, L’uomo che uccise Don Chisciotte. Apprenderà, però, che gli attori che aveva ingaggiato sono andati in rovina. In particolare, il suo protagonista si era convinto di essere davvero il don Chisciotte e quando Toby lo ritroverà, suo malgrado, verrà trascinato nel suo folle delirio: un cavaliere in armatura e lunga asta cavalca contro le forze di polizia che all’improvviso assumono i tratti della santa inquisizione. Queste sequenze riescono a divertire tanto sono assurde ma risultano anche molto efficaci perché riescono a restituire lo straniamento del protagonista che sta cadendo in una strana e apparente follia.

I salti tra realtà e schizofrenia sono di certo il colpo di genio più brillante che la regia di Gillian offre.

Il parallelo tra la morale del romanzo originale e questo film, peraltro riuscitissimo, porta lo spettatore a domandarsi se il don Chisciotte fosse solo un folle o qualcosa di più e questo è ciò che, di fatto, rende il personaggio e l’ironia di Cervantes immortali.


Fabrizio Fusco

Alla fine Gilliam ce l’ha fatta. Dopo quasi 25 anni di lavorazione è nelle sale l’opera più osteggiata del regista di Minneapolis. Un film venuto a galla quasi per un vero e proprio miracolo cinematografico, tanto da far passare in secondo piano la riuscita o meno del film stesso.

A conti fatti, ovvero a film visto, L’uomo che uccise Don Chisciotte (titolo originale: The Man Who Killed Don Quixote) sarebbe stato meglio accanto ai grandi progetti della storia del cinema sognati ma mai realizzati (vedi il Napoleone di Kubrick).

In effetti, il documentario del 2005 Lost in La Mancha sulla sua mancata realizzazione sarebbe stata un’opera sufficiente ad attenuare il rimpianto per ciò che poteva essere ma che non sarebbe mai stato. Si tratta della classica montagna che ha partorito il topolino, insomma, un film che nonostante la lunga lavorazione sembra ancora assomigliare ad un infinito work in progress a cui lo spettatore assiste, vittima di una trama caotica e caciarona, in cui deve destreggiarsi nel tentativo di riannodare un filo della narrazione che man mano che il film procede si perde sempre più.
Nel tentativo pur apprezzabile di fondere Cervantes con l’elemento metafilmico (una eco di felliniana memoria in cui Adam Driver, alter ego del regista, cerca di realizzare il film della sua vita tra ricordi e visioni oniriche), l’ex Monty Python sembra perdere la bussola, buttando nel pentolone un po’ di attualità spiccia e di luoghi comuni: mussulmani e terroristi, donne vittime di ricatti sessuali e spietati oligarchi russi arricchiti dalla vodka, non facendosi mancare neanche qualche rivincita personale con il giovane regista di spot Toby, pronto ad insidiare la bella moglie del produttore (è nota la controversia legale tra Gilliam e l’ex produttore Paulo Branco). L’immaginario visivo debordante di Terry Gilliam a cui eravamo stati abituati questa volta resta lontano anni luce dalla potenza di Paura e delirio a Las Vegas, sovrastando lo spettatore con un cinema troppo denso, fatto di maschere, luci e colori a cui si fa davvero fatica a stare dietro. Ma forse non è neanche questo il vero Don Chisciotte di Gilliam. Forse, come per sua stessa ammissione, il grande regista di Brazil non ha più storie da raccontare, e questo film “maledetto” non si dovrà mai fare.

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