
«Se a Bruxelles mi dicono che non lo posso fare, me ne frego, e lo faccio lo stesso» così gridava Salvini il 29 settembre, nel corso della Giornata mondiale del sordo a Roma. Si riferiva alla prima legge di bilancio della legislatura gialloverde, il momento della verità sul mantenimento delle populistiche promesse elettorali.
Ieri, alla fine del consiglio dei ministri, è stato trasmesso il documento programmatico di bilancio alla commissione europea e all’eurogruppo. Il 30 novembre arriverà il responso e il 31 dicembre la legge dovrà essere approvata in Parlamento.
Se il clima politico non cambierà risulta necessario chiedersi: avremo la forza politica per vincere uno scontro frontale?
Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non crede di possederla: l’11 ottobre, dopo una riunione al Quirinale, si rivolgeva ai suoi ospiti ― tra cui i vicepremier Di Maio, Salvini e il presidente del consiglio Conte ― ribadendo l’importanza di «tenere aperto il dialogo con l’Unione Europea».
Il problema non è solo un disavanzo del 2,4%, ma, soprattutto, una manovra che crede di colmare i miliardi mancanti con un’ottimistica previsione sulla crescita del PIL, concentrando i propri sforzi più sulla domanda che sull’offerta di mercato. Questo ha sostenuto Massimo Bordignon, professore di Scienza delle finanze dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e membro dell’European Fiscal Board, durante una conferenza presso l’ISPI (istituto per gli studi di politica internazionale). Emblematico della situazione l’isolamento vissuto dal nostro ministro di Economia e finanze durante la riunione dell’eurogruppo di inizio ottobre.
Se l’Italia vuole ottenere il risultato prefissato deve trovare un diverso modo di mediare con Bruxelles, che non sia uno scambio di insulti. Il governo non sembra di quest’avviso: non è improbabile che possa approvare la legge senza il consenso della commissione. In tal caso si farà leva sul sentimento sovranista, che tanto esalta i leghisti e i grillini, per giustificare la presa di posizione. Di fronte a questa eventualità la commissione avrà due opzioni:
1) attivare la procedura di disavanzo eccessivo regolata dall’art. 126 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea.
2) contestare formalmente l’azione e avviare la procedura formale di infrazione.
Nel primo caso si rischia che la Banca europea per gli investimenti riconsideri la sua politica di prestiti verso l’Italia, che si costituisca un deposito infruttifero presso l’Unione e che si infliggano ammende aggiuntive. Nel secondo si può arrivare di fronte alla corte di giustizia dell’UE.
In entrambi casi si rischierebbe di compromettere irrimediabilmente la posizione economica e politica dell’Italia.
C’è bisogno di comprendere, come sosteneva Beda Romano, corrispondente a Bruxelles del Sole 24 ore, che l’Italia non si può più considerare too big to fall e che, se non sarà più conveniente, verranno meno tutti quei sostegni economici che le sono stati accordati dall’inizio della crisi ad oggi.
D’altronde per l’UE cedere di fronte a richieste di elasticità, poste in modo così arrogante e unilaterale, significherebbe legittimare tutte quelle forze centrifughe che vedono in Bruxelles un grande capro espiatorio da accusare, decretando così da sé l’inesorabile inizio di un processo di disgregazione europea.