Del: 11 Ottobre 2018 Di: Letizia Gianfranceschi Commenti: 0

“Ci si sente liberi quando ancora non si conosce ciò che accade nel mondo”. A dirlo, o meglio a scriverlo, è Malala Yousafzai nel libro realizzato in collaborazione con la giornalista Christina Lamb per raccontare la sua battaglia per la libertà e l’istruzione delle bambine, pakistane e non, che le è costata un attentato da parte dei talebani.
Conoscere quello che succede nel mondo è, oggi più che mai, un atto di volontà. Nella società globale della connessione costante, chiunque – se vuole – può sapere cosa accade fuori dalla finestra della propria stanza.
Si celebra oggi, 11 ottobre, la giornata internazionale delle bambine, istituita dalle Nazioni Unite nel 2012, un’occasione per informarsi sulle condizioni delle bambine nel mondo. Il tema di quest’anno è With Her: A Skilled GirlForce.  

Se e quanto alle bambine del mondo sia riconosciuto il godimento di alcuni diritti fondamentali è un buon indicatore di come sarà la loro vita da adulte, di come verranno trattate come donne.

Alcune bambine si sposano prima di diventare adulte. Sono tante, oltre 650 milioni quelle che, secondo l’iniziativa Girls not Brides, oggi sono adulte ma si sono sposate prima di compiere la maggiore età. Queste bambine appartengono a culture, religioni e paesi diversi: succede in India, in Bangladesh, in Niger, in Messico, in Indonesia ma anche nei “civilissimi” Stati Uniti. Ad alcune è stato imposto per tradizione, ad altre per mancanza di educazione, ad altre ancora perché le famiglie da cui provengono vivono in condizioni di estrema povertà. Ad accomunarle c’è una sola caratteristica: sono tutte bambine.

Alcune bambine muoiono presto, non per sciagura ma per una scelta familiare precisa e ponderata. L’infanticidio femminile ha radici storiche nello Stato indiano del Tamil Nadu, dove nel lontano primo secolo d.C. i guerrieri mandati a combattere morivano in gran numero. Fu allora che, per arginare la disparità tra maschi e femmine, si cominciò a praticare l’infanticidio femminile. Questa pratica, vietata dall’ordinamento giuridico indiano, rimane una realtà nelle zone rurali. Il fenomeno non è sconosciuto neanche alla Cina dove, secondo uno studio condotto da Gendercide Watch, la pratica dell’infanticidio femminile è storicamente connessa alla politica del figlio unico introdotta dal governo di Pechino nel 1979, al fine di controllare la crescita demografica.

Alcune bambine lavorano come schiave. Uno studio dell’UNICEF ha cercato di capire se la pratica del lavoro minorile sia diffusa anche in base ad una variabile di genere. Ciò che è emerso è che,  anche se il lavoro minorile costituisce una violazione dei diritti di tutti i bambini – maschi e femmine – solitamente le bambine iniziano a lavorare prima, soprattutto nelle zone rurali di alcuni paesi. L’adesione ai ruoli tradizionali di genere, poi, fa sì che alle bambine sia negato maggiormente il diritto di andare a scuola, affinché svolgano lavoro in casa e fuori.

Le guerre e le catastrofi naturali costringono alcune bambine a lasciare la propria casa, un posto ormai non più adatto a loro. Queste bambine, soprattutto in età adolescenziale, incorrono in un rischio maggiore di subire violenza sessuale o di genere, di lasciare la scuola troppo presto, di sposarsi prematuramente, di affrontare gravidanze non sicure, di assumersi responsabilità eccessive e di essere sottoposte ad abusi di ogni tipo, come denuncia il rapporto della Commissione ONU per le donne rifugiate.

Anche se l’istruzione è un diritto umano, alcune bambine non vanno a scuola. Nel 2013  l’UNESCO stimava che fossero 31 milioni quelle a cui era negata l’istruzione primaria, a cui si aggiungevano le adolescenti tenute fuori dalle scuole secondarie – ben 34 milioni. Ad alcune bambine è stato detto che a scuola non possono andarci perché Boko Haram – l’educazione occidentale è peccato. Le bambine, invece, sanno che l’istruzione non è né orientale né occidentale.

Molte bambine non sanno di avere dei diritti. Questi sono loro garantiti dagli ordinamenti nazionali e dal diritto internazionale.

In base alla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, infatti, gli Stati parte (196, compresa la Somalia che lha ratificata per ultima) si impegnano a garantire i diritti dei bambini senza discriminazione alcuna, nemmeno quella legata al genere. Le bambine, così come i bambini, hanno diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo, il diritto alla salute e alla sicurezza sociale, all’istruzione e alla protezione da ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale.

Qualsiasi discorso sull’uguaglianza di genere, dunque, non può ignorare questi fatti che caratterizzano la vita delle bambine i molte nazioni.

Alcune bambine sono più fortunate. Sono nate e vivono in posti che, in base al Girls Opportunity Index di Save the Children, hanno prestazioni positive su una serie di variabili quali: il matrimonio infantile, le gravidanze adolescenziali, la mortalità in occasione del parto, la presenza di donne all’interno dei parlamenti nazionali e il completamento della scuola secondaria.
Queste bambine consumano almeno un pasto al giorno, frequentano la scuola invece di lavorare, magari poi frequentano anche l’università, non si sposano da bambine, non vivono come schiave, non assistono alla guerra, non vengono uccise prima di nascere, non vengono sfruttate sessualmente.

Oggi è tempo di ricordare tutte le bambine del mondo. Oggi che possiamo sapere, non siamo più liberi di far finta di nulla.

Letizia Gianfranceschi
Studentessa di Relazioni Internazionali. Il mondo mi incuriosisce. Mi interesso di diritti. Amo la letteratura, le lingue straniere e il tè.

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