Immagine di copertina: Yves Klein, Big Blue Anthropometry, 1960
Il 14 giugno del 2009, giorno in cui è cominciato tutto, Asia Bibi lavorava nei campi come sempre. Era andata a prendere dell’acqua da un pozzo per ristorarsi e poi l’aveva offerto alle donne musulmane che lavoravano con lei, ma loro la accusarono di avere infettato la fonte. Perché lei, in quanto cristiana, era un’infedele. Nel giro di pochi giorni iniziarono ad accusarla di blasfemia ed è così che è iniziato il suo calvario, la sua lotta per la libertà. Attraverso una strada fatta di discriminazione e rigida intolleranza, cieca ferocia fatta di ignoranza e paura.
Asia Noreen Bibi avrebbe potuto porre fine al suo calvario due anni fa. Sarebbe bastato poco per uscire dalla sua cella senza finestre nella prigione di Sheikhupura, in Pakistan, dove è stata rinchiusa nel giugno del 2009 ed evitare l’impiccagione.
Una semplice parola l’avrebbe scagionata nel giro di pochi giorni dalle accuse di blasfemia che l’hanno portata ad essere la prima donna condannata a morte, l’8 novembre 2010, in Pakistan.
Eppure, quando un giorno «l’onorevole Naveed Iqbal», lo stesso giudice che l’ha destinata «a una morte orribile» pur non avendo prove, è entrato nella sua cella di isolamento e le ha offerto la revoca della sentenza in cambio di una sua conversione all’islam, Asia Bibi non si è scomposta. Anzi, l’ha ringraziato di cuore per averle offerto una via di salvezza prima di rispondergli che preferiva morire «da cristiana» piuttosto che uscire dal carcere «da musulmana». È andata davanti al suo carnefice e, con semplice e sconcertante coraggio, ha dichiarato:
Sono stata condannata perché cristiana. Lei mi ha condannata a morte perché amo Dio, sarò orgogliosa di sacrificare la mia vita per Lui.
La “Legge Nera” è senza scampo, non lascia via d’uscita. Non c’è salvezza possibile per coloro che vengono accusati di blasfemia. Molti vengono uccisi prima ancora di essere processati, freddati sulle scale del tribunale prima che sia presa qualsiasi decisione. Perché non c’è giustizia umana che possa contraddire quella divina, urlano gli assassini. Per questo nessuno vuole farsi carico della contadina. Tutti, anche i giudici, nell’assolverla rischiano la vita.
Ora però le strade del Pakistan sono paralizzate dalle proteste. Asia Bibi è stata rilasciata dopo 1800 giorni di prigionia dall’accusa di blasfemia che giudicava la sua vita giunta al termine. C’è il caos dopo la sentenza. Scioperi, strade bloccate, scuole chiuse. Una semplice corretta decisione, una scelta di giustizia, è riuscita a gettare un intero paese nella totale confusione. Perché, di giustizia e libertà, qui non si parla mai. Ogni opinione contrastante con quella di chi è al potere, ogni diversità, ribellione e libertà viene soppressa con fredda e spietata determinazione.
E’ pericoloso non essere conformi, essere strani, avere coraggio o semplicemente delle idee. Perché il diverso ha sempre fatto paura per la sua imprevedibilità e per il suo grande potere di far mettere in discussione le proprie certezze.
Ed è così che Asia è diventata una svolta di speranza per il Pakistan e per il mondo. E’ così che Asia, la piccola contadina sconosciuta, ha insegnato al mondo il potere del coraggio, della diversità. Con una lettera: parole scritte tra lacrime di speranza piene di terrore e di odio non verso la morte ma verso la vita piena di violenza, di ingiustizia e di insofferenza che per tutti questi anni le hanno sempre tenuto compagnia come vecchi e fedeli compagni di viaggio impedendole di esprimere quello in cui credeva con tutto il cuore.
Spero nel coraggio della verità, in una strada di giustizia, in una terra dove non ci siano più intolleranza e discriminazione. Credo con tutto il cuore che rinascerò” e spero che con me lo faccia il mondo intero. Per non vedere più soltanto uomini ma anche una umanità.