Enrico Mentana sceglie l’Aula Magna della Statale di Milano — «Non ci tornavo da quarantacinque anni», dice — per il primo intervento pubblico di presentazione di Open, il suo nuovo giornale online che il 18 dicembre vedrà la luce. La redazione sarà inizialmente composta 20 giovani giornalisti, accompagnati da alcuni altri di più lunga esperienza, a partire dal direttore Massimo Corcione, «per evitare l’effetto assemblea autogestita: non siamo anarchici, né un giornale studentesco». Mentana non esclude, se le cose dovessero andare bene, nuovi ingressi: «Se saremo in attivo mi impegno a tornare qua tra un anno per aprire a venti nuove assunzioni». E, ammette già, la prima raccolta pubblicitaria è andata oltre le migliori aspettative.
Cosa sarà Open? Un giornale pensato appositamente per smartphone — e per questo un post-giornale — con un’ampia selezione di notizie, inchieste e approfondimenti.
La homepage presenterà le headlines con le notizie principali. «Un primo giornale — dice Mentana — pensato per i giovani e scritto da giovani». Con due grandi temi al centro: il lavoro giovanile e la lotta alle fake news. «Una battaglia educativa», secondo il noto debunker David Puente, tra i primi collaboratori assunti da Mentana. Open vivrà di pubblicità e sarà gratuito: «Informarsi è ormai considerato un diritto naturale, non avrebbe senso farsi pagare dai lettori». E traspare orgoglio quando parla delle modalità di lancio: «Non abbiamo speso un euro in pubblicità. Si sa di Open solo grazie alle mie pagine Facebook e Instagram».
Il progetto del nuovo giornale è nato quest’estate, quando Mentana l’ha lanciato sulla sua pagina Facebook. Sono arrivati 12 mila curriculum e 200 candidati sono stati selezionati per i colloqui: da questi si è arrivati ai 20 prescelti. Le motivazioni che hanno spinto Mentana alla decisione di fondare Open partono da un’analisi impietosa della situazione:
Il giornalismo italiano, come gran parte della società, è concentrato sul presente. La mia generazione è entrata dalla porta principale, mentre per i giovani d’oggi non c’è alcuna idea di futuro. Noi abbiamo una grande responsabilità verso i giovani: siamo i responsabili del fatto che abbiano molte meno chance di quante ne avessimo noi di entrare nel mondo del lavoro. Nel giornalismo è stata detestabile l’esclusione dei giovani.
Ma non risparmia critiche nemmeno agli studenti: «Se avessi 22 anni farei un movimento di lotta comune, manifesterei. Perché non lo fate?» E ribadisce:
In Italia tutto è costruito in funzione e su misura della cultura novecentesca e analogica. I giornali sono anacronistici, sono fatti da cinquantenni e sessantenni per i loro coetanei.
Il direttore del Tg La7 azzarda un paragone: «I giornali sono come un negozio di antiquariato, frequentato da anziani, mentre il web è l’Ikea. Io voglio fare un giornale che, almeno nei numeri, sia l’Ikea del giornalismo».
A questi ragionamenti si aggiunge l’idea del giornalista-mediatore. «È così fin dai tempi degli aedi di Omero: qualcuno è protagonista delle storie, qualcun altro le racconta». Se oggi i politici utilizzano i social network per saltare la mediazione e rivolgersi direttamente agli elettori, «è necessario un lavoro di filtro, fatto da professionisti». Mentana insiste molto sulla volontà di avvicinare i giovani all’informazione sistematica che negli ultimi anni, con la grande crisi dei quotidiani, si è persa: «Gli algoritmi di Google News fanno leggere solo ciò che è simile a quello che hai già letto, e così il lettore finisce per ignorare molte altre notizie».
Tutto questo in un’ottica di give back, di restituzione ai più giovani di una parte di ciò che si è avuto. «Io — dice Mentana — sono entrato in Rai a 25 anni e a 26 sono diventato giornalista professionista. Oggi sarebbe impossibile». Eppure, assumendo giovani e con una redazione creata in pochissimo tempo, tenta questa nuova sfida come editore, perché «lo sforzo di dedicarsi al futuro è la salvezza delle imprese editoriali».