Del: 24 Gennaio 2019 Di: Sheila Khan Commenti: 0

Quest’opera di Sofocle andò in scena per la prima volta nel 442 a.C. e continua a godere di una straordinaria fortuna ancora oggi.

Antigone è una disobbediente civile: infrange le leggi dello Stato per rispettare quelle umane di fratellanza e amore.

Il senso contemporaneo di Antigone sta nella natura e nella forma dialettica del confronto. Non è un confronto tra posizioni di potere. Antigone non offre una soluzione politica alternativa a Creonte, ma è l’annuncio che una tesi politica, maturata nelle regole del pensiero ed espressa attraverso la sacralità della parola nel momento in cui prende forma nella polis scopre che la sua compiutezza si manifesta solo grazie alle sue aporie.

Queste le parole di Gigi Dall’Aglio, regista di Antigone in scena ora al Teatro Elfo Puccini di Milano.

La potenza del dramma sofocleo risiede in primis nelle parole del drammaturgo greco. La sfida della messinscena risiede invece nelle scelte registiche, nella traduzione e nelle capacità degli attori di restituire un classico in maniera nuova.

In scena gli attori formano il coro degli anziani di Tebe e a turno escono da questo ruolo per interpretare altri personaggi: Serena Sinigaglia è Antigone, Francesca Porrini è Ismene, Stefano Orlandi è Creonte, Aram Kiam è il messaggero, David Remondini è Emone, Carla Manzon è Tiresia, Sandra Zoccolan è il corifeo. La dimensione musicale è forse la più originale della messinscena: Gigi Dall’Aglio sceglie di mettere in musica gli stasimi, annunciati da un gong e da un titolo dal corifeo e poi recitate in coro da tutti gli attori. L’effetto è uno straniamento di brechtiana memoria, un momento di riflessione per lo spettatore che, suggestionato e portato lontano dalla musica, può prendersi del tempo per far depositare quello che ha appena visto e prepararsi per andare avanti; è come prendersi dei respiri prima della fine.
Di particolare effetto, anche visivo, c’è sicuramente la stasimo con la danza bacchica, connotato da un rosso cupo, che richiama alla pazzia e al sangue versato.

All’interno della scenografia svetta il monolite su cui è scritto l’editto di Creonte e, sul fondo, un cumulo di terra, memorandum dell’illegale sepoltura di Polinice da parte di Antigone. Gli elementi scenici si distinguono tutti per la loro duttilità, che, nelle mani degli attori, cambiano forma e uso adattandosi alle circostanze.

Il dramma di Antigone si svolge verso la fine con un ritmo serrato, sottolineato anche dalla musica e da un crescendo di conflitti che non possono che risolversi con la morte: Antigone e il suo promesso sposo, Emone, si uccidono in una grotta, per potersi incontrare nel regno dei morti e realizzare il loro sogno di nozze; Euridice, moglie di Creonte, si suicida per il dolore per la perdita del figlio. A Creonte, re rimasto ormai solo, non resta che implorare gli dei e chiedergli una soluzione. Ma ormai è troppo tardi.

Alla fine però, un albero cresce sopra il cumulo di terra che adesso protegge anche Antigone, Emone ed Euridice, simbolo forse di una nuova speranza di vita che avviene in primis attraverso una presa di posizione politica.

Il messaggio politico dell’Antigone sofoclea è particolarmente importante se si considera anche la storia recente della compagnia Atir, da due anni orfana della sua casa, il Teatro Ringhiera. Scrive Serena Sinigaglia, direttrice della compagnia e protagonista dello spettacolo:

Antigone perché racchiude dentro di sé tutto il dolore, tutta la contraddizione, tutte le domande (e le speranze) che si sono riversate su di noi all’indomani della decisione comunale di chiudere il Teatro Ringhiera. Era come trovarsi di fronte al corpo di Polinice. Un teatro viene chiuso per ragioni di sicurezza: ma un teatro chiuso è un “corpo” morto abbandonato al degrado del tempo.

Il teatro e la regia si riappropriano qui del loro ruolo politico. L’auspicio è che ogni teatro sia una piccola Antigone del panorama culturale odierno.

Sheila Khan

Commenta