Del: 24 Gennaio 2019 Di: Michele Pinto Commenti: 1

Innanzitutto, un fatto: il capo politico dei Cinque Stelle Luigi Di Maio è giunto al governo dopo una campagna elettorale di promesse e annunci, di dichiarazioni a effetto e di evidenti tentativi d’ingraziarsi l’elettorato. Fin qui nulla di strano: lo fanno — chi più, chi meno — tutti i politici. Il problema sorge però quando queste promesse non si mantengono.

La grande quantità di speranze e illusioni alimentate dai grillini prima del voto ha suscitato un credito di entusiasmo per il governo giallo-verde praticamente senza precedenti. Dopo quasi otto mesi di potere l’esecutivo di Giuseppe Conte gode ancora, in particolare negli ultimi sondaggi, del consenso record del 55% dei cittadini. Tuttavia è bene evidenziare che le prime crepe nel muro dei consensi costruito da Di Maio e Salvini iniziano a intravedersi. E in particolare per Di Maio. Questo è dovuto principalmente all’enorme sproporzione tra le promesse elettorali e i reali provvedimenti adottati dopo le elezioni.

L’esempio più lampante dell’asimmetria tra promesse e fatti è rappresentato dal tanto celebrato reddito di cittadinanza, che in origine doveva valere 30 miliardi ed essere esteso a una platea amplissima di beneficiari e poi, conti alla mano, è stato nettamente ridimensionato tra i 6 e gli 8 miliardi di euro.

Ciò che colpisce, nella gestione di questa vicenda e in generale nell’azione politica di Di Maio, è la tendenza a mentire — e a smentirsi — con grande frequenza. Il punto è che il vice-premier mente, diciamo così, per attitudine, per deformazione personale. Le sue bugie non nascono da una necessità politica precisa, ma scaturiscono dalla spinta all’improvvisazione che caratterizza l’intera classe dirigente grillina.

Insomma: mentire per ammansire l’elettorato, quasi come cifra distintiva. Perché l’elettorato, fino ad adesso, è rimasto insensibile alle bugie e alle giravolte di Di Maio e dei suoi ministri.

In questo, nella capacità dire bugie senza mai scottarsi, il nuovo corso pentastellato è incredibilmente simile a quello del suo arcinemico Berlusconi.

Di Maio sconta una posizione di naturale inferiorità nei confronti di Salvini, che si è affermato come leader forte del governo, ha portato la Lega a numeri da capogiro — quasi al 35% — e fatto passare il messaggio chiaro e netto di aver fermato l’immigrazione. Inutile cavillare, inutile dimostrare che gli sbarchi erano diminuiti anche con Minniti, il precedente ministro: Salvini si trova in una posizione di forza, cosiddetta win-win, al momento difficilmente scalfibile. Di Maio invece ne esce annichilito, affannato. Non riesce a imporsi, né a conquistare quegli spazi di visibilità che Salvini, grazie alle sue manovre a costo zero — a differenza del costosissimo reddito di cittadinanza — è riuscito a conquistarsi.

Le idee e le proposte storiche del Movimento Cinque Stelle sono lentamente scomparse dall’agenda politica. L’inesperienza e l’insipienza politica di Di Maio, in questo senso, hanno una responsabilità enorme.

Come ha evidenziato Francesco Cundari su Rivista Studio è in realtà il comportamento stesso del leader grillino a lasciare interdetti:

L’alleato ideale di qualunque prepotente al potere: quello che non ti dice mai di no, ma sempre di ni, così da trasformare ogni tua più modesta vittoria in un trionfo schiacciante. La Titti che ogni Gatto Silvestro sogna di incontrare. Il perfetto sparring-partner di governo.

Di Maio, di fronte alle pretese salviniane, segue un canovaccio sorprendentemente costante: si dissocia, di solito per bocca di qualche suo compagno di partito o attraverso qualche velina passata ai giornali, accenna una flebile forma di resistenza, cede nel giro di qualche ora e finisce, imperterrito, per assecondare in tutto e per tutto l’alleato di governo. Questo modus operandi è straordinariamente inedito, perché realizza nella realtà tutto ciò che intere generazioni di politici e politicanti non si sono mai azzardate a fare.

Ma tutto questo ha un prezzo. Il continuo processo di logoramento delle tradizionali posizioni grilline che si registra su tutti i temi caldi — migranti, grandi opere, energia, ambiente, reddito di cittadinanza — non è affatto indolore. Infatti, nei sondaggi, la Lega di Salvini avanza e il M5S cala inesorabilmente. E il gioco continuo al benaltrismo, alla distrazione di massa — la vigilia del boom economico, la farsesca polemica sul franco Fca, Lino Banfi all’Unesco — non può essere infinito, né tantomeno proficuo.

Resta da chiedersi quali siano le prospettive di un Luigi Di Maio così in difficoltà. Il maldestro tentativo di cercare un’alleanza, un avvicinamento, con i “gilet gialli”, prontamente respinto, ha dimostrato per l’ennesima volta le difficoltà che incontra una forza anti-sistema — e soprattutto non connotata da tratti ideologici chiari — quando deve assumere decisioni di lungo termine e di più ampio respiro. Le elezioni europee di maggio saranno un passaggio fondamentale. Mentre da una parte Salvini ha ben chiara la sua posizione sovranista e le sue alleanze continentali, da Le Pen a Orban, e dall’altra Carlo Calenda prova a raccogliere intorno a una lista fortemente europeista l’intero centro-sinistra, i Cinque Stelle non hanno nessun progetto europeo, né un’alleanza a livello sovranazionale da poter spendere. Si trovano, anche da questo punto di vista, in un vicolo cieco.

Questo vertiginoso imbuto nel quale Di Maio si è ficcato condurrà presto il leader grillino a una resa dei conti traumatica. La subalternità a Salvini lo costringerà a pagare un prezzo di consenso altissimo, mentre il ritorno di Di Battista, e con lui dell’originaria vena movimentista dei Cinque Stelle, rischierà di intrappolarlo in una posizione insostenibile, nel Movimento e nel governo. Chissà che tutto ciò non si concretizzi già alle elezioni europee.

Insomma Di Maio, alla luce delle difficoltà e degli errori degli ultimi mesi, risalta sulla scena politica come il più inadeguato di tutti. Come un pesce fuor d’acqua. Come Hugh Grant, si passi il paragone, in Quattro matrimoni e un funerale. Con la differenza che alla fine del film Grant sta per sposarsi; mentre nella realtà italiana, al momento, non ci sono nozze in vista. Anzi.

Michele Pinto
Studente di giurisprudenza. Quando non leggo, mi guardo intorno e mi faccio molte domande.

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