Fotografo: chi fa fotografie, in particolare chi le fa per professione/chi vende materiale fotografico. Questa è la definizione che ognuno di voi potrà trovare tra le pagine di un qualsiasi dizionario alla voce “fotografo”. Vera ma estremamente riduttiva.
Da circa 30 anni, Steve McCurry è considerato uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea ed è un punto di riferimento per un larghissimo pubblico, soprattutto di giovani, che nelle sue fotografie riconoscono un modo di guardare il nostro tempo e, in un certo senso, “si riconoscono”.
Nato nei sobborghi di Philadelphia, McCurry studia cinema e storia alla Pennsylvania State University prima di lavorare per un giornale locale. Dopo molti anni come freelance, McCurry compie un viaggio in India, il primo di una lunga serie. Con poco più di uno zaino per i vestiti e un altro per i rullini, si apre la strada nel subcontinente, esplorando il paese con la sua macchina fotografica.
Dopo molti mesi di viaggio, si ritrova a passare il confine con il Pakistan. Là, incontra un gruppo di rifugiati dell’Afghanistan, che gli permettono di entrare clandestinamente nel loro paese, proprio quando l’invasione russa chiudeva i confini a tutti i giornalisti occidentali. Riemergendo con i vestiti tradizionali e una folta barba, McCurry trascorre settimane tra i Mujahidin, così da mostrare al mondo le prime immagini del conflitto in Afghanistan, dando finalmente un volto umano ad ogni titolo di giornale.
Da allora, McCurry ha continuato a scattare fotografie mozzafiato in tutti i sei continenti.
I suoi lavori raccontano di conflitti, di culture che stanno scomparendo, di tradizioni antiche e di culture contemporanee, ma sempre mantenendo al centro l’elemento umano che ha fatto sì che la sua immagine più famosa, la ragazza afgana, diventasse una foto così potente.
E’ sorprendente il racconto di come capì che tipo di fotografo volesse diventare. Durante l’alluvione del 1983 a Porbandar, in India, McCurry racconta di essersi trovato nella posizione di non riuscire a fare alcuna foto per lui soddisfacente. Nessun punto di vista risultava essere sufficientemente d’impatto, ne sui tetti, ne dai balconi. In quella enorme distesa d’acqua in cui galleggiavano escrementi e cadaveri si stava consumando una triste catastrofe e lui come fotografo non riusciva a raccontarla. Fu così che decise di immergersi fino alle spalle in quel torrente putrido e fangoso per realizzare uno dei suoi scatti più famosi, quello che ritrae un sarto immerso fino al collo che porta in salvo tutto ciò che ha: la sua vecchia macchina da cucire.
McCurry racconta che proprio in quel momento gli fu tutto più chiaro di chi volesse essere come fotografo, qualcuno che non vive gli eventi rappresentati in maniera sterile e distante, ma che comprende e partecipa alle gioie e alle sofferenze di chi gli sta intorno, in modo da esprimere la vita attraverso la fotografia, di qualsiasi tipo essa sia.
Per questo l’appellativo di fotografo è davvero riduttivo: nel suo impegno lento e costante riesce a costruire una storia, a raccontare qualcosa di importante e costringe a farsi domande, a interrogarsi sul mondo, a cercare di scoprirlo nelle sue contraddizioni e nella sua spietata ferocia. Il suo è un genere di viaggio senza confini, nei luoghi del mondo dove si accendono conflitti e si entra inevitabilmente in contatto con le difficoltà, la povertà, la fatica del vivere in quelle terre.
E’ la presenza umana ad essere sempre protagonista, questa umanità, questa vita, ci viene incontro con i suoi sguardi in una sorta di girotondo dove si mescolano età, culture, etnie, che McCurry ha saputo cogliere con straordinaria intensità.
Per questo si può considerare molto più che un fotografo.
Un uomo che ha saputo fermare la bellezza dove di bello non c’era niente, che ha saputo creare arte ed è riuscito a rendere migliaia di volti dei bellissimi fiori nonostante camminino sopra un inferno.