
C’è stato un momento, un preciso momento, in cui il governo è sembrato a un passo dall’implosione. La lunga scia di non detti, ostilità e rivalità tra i due vice-premier Salvini e Di Maio ha raggiunto il suo apice durante la votazione sul caso Diciotti della cosiddetta “piattaforma Rousseau”. Alla fine i poco più di 50 mila votanti hanno deciso di salvare il ministro leghista dal processo al quale i magistrati volevano sottoporlo per il reato di sequestro di persona.
Matteo Salvini è al momento il leader politico più popolare del paese. Questa popolarità deriva principalmente dal ruolo di assoluto protagonista che si è conquistato all’interno del governo, anche se le proporzioni iniziali gli erano in realtà sfavorevoli. Il caso Diciotti ha evidenziato, in ogni caso, le difficoltà di una situazione che da una parte protegge ed esalta il ruolo di esposizione e popolarità di Salvini, soprattutto a causa dell’inconsistenza degli alleati di governo, e dall’altra sembra, almeno per il momento, ingabbiarlo nelle logiche stesse della maggioranza con i Cinque Stelle.
È ancora il protagonista della scena, ma non lo è più con la sicurezza e il vento in poppa che aveva anche solo a giugno.
Negli ultimi mesi si è dovuto persino costruire un’immagine che lo presentasse come moderatore delle intemperanze grilline, in particolare in campo economico. Come dimostra l’irrisolta questione del Tav Torino-Lione, risulta difficile per l’elettorato leghista — un tempo individuato come il “ceto produttivo del Nord” — accettare che le grandi opere e i cantieri si fermino a causa dell’ostinazione di Toninelli o Di Maio. Il disastro economico nel quale l’Italia è precipitata non fa che aggravare questa tendenza e restringere Salvini in una strada senza uscite.
Salvini è il più forte, il più popolare e il più apprezzato, ma anche il più a rischio: il governo Conte si è ormai impantanato in una situazione di semi immobilità, con tutti i dossier fermi (Tav e flat tax) o rimandati (reddito di cittadinanza e quota cento). Fino a quando può reggere una situazione simile, nella quale il suo alleato è collassato e il governo è ormai totalmente identificato con la Lega e i suoi ministri? Fino a questo momento la condizione di totale supremazia è stata descritta come un successo: Salvini ha monopolizzato il dibattito, ha oscurato Di Maio e ha preso le redini del governo. L’eccessiva incapacità dei grillini — esplosa da ultimo con il caso Diciotti — ha lasciato totalmente la scena a Salvini: ma che interesse si può avere nell’essere considerati i padroni di un governo immobile e inconcludente?
È dunque evidente che ci troviamo di fronte a un cambio di fase. Lucia Annunziata ha tracciato su Huffington Post Italia un bilancio dei primi mesi della cosiddetta Terza repubblica, dal quale emerge una presa d’atto della situazione interna alla maggioranza:
Insomma, il Salvini che vince sui pentastellati allontana un’eventuale crisi di governo perché il leader leghista non ne ha più bisogno. Al contrario, gli fa comodo: un pezzo di pentastellati addomesticati in un partitino avrà bisogno di concessioni minori, e torneranno utili nell’assicurare alla Lega il consenso di una parte di elettorato, rendendolo più libero da alleanze a destra, soprattutto con Silvio Berlusconi. Grazie a una sorta di eterogenesi dei fini, dunque, il Governo oggi è non solo salvo, ma più stabile: un addomesticamento dei Cinque Stelle a favore dei leghisti è una soluzione gradita a quelle che si chiamano élite.
Il progressivo indebolimento dei grillini contiene quindi in sé due differenti conseguenze: un Salvini più debole nei confronti dell’elettorato per effetto degli insuccessi del governo e, al tempo stesso, un Salvini più forte all’interno del governo e del gioco politico.
L’effetto più probabile di questa evoluzione potrebbe essere un ulteriore inasprimento dei toni con lo scopo di fidelizzare l’elettorato e riconfermare il consenso: e dunque ancora azioni dimostrative sulla pelle degli immigrati, prove di forza nei confronti delle istituzioni comunitarie e rafforzamento delle posizioni securitarie. Proseguire dunque sulla strada già intrapresa della costante e metodica messa in discussione delle radici valoriali, e legislative, su cui si fonda la convivenza all’interno di una comunità.
Nonostante queste difficoltà il leader leghista ha ancora tutte le carte in mano. Per il momento ostenta tranquillità e calma e promette di tenere in piedi l’esecutivo. Potrebbe far saltare il governo, tornare al voto con il centro-destra o addirittura accelerare il processo di distruzione degli attuali alleati di governo. Per ora rimanda, probabilmente in attesa delle elezioni europee, che consegneranno una (finalmente) veritiera fotografia della situazione a livello nazionale. Una volta svelati i rapporti di forza dopo un anno di esecutivo Conte deciderà cosa fare della maggioranza giallo-verde.
Riemerge evidente il punto di partenza di questa vicenda: tutte le strade portano a Salvini. E partono da Salvini.
Raramente, in ottant’anni di Repubblica, un leader politico è riuscito a egemonizzare in questo modo il dibattito politico. L’assenza di avversari, in questo senso, è disarmante. La leadership di Di Maio declina, quella di Berlusconi tramonta. E nel centro-sinistra attendono ancora l’arrivo salvifico di qualcuno. Per il momento c’è solo Matteo Salvini: si guarda intorno, non vede nessuno e decide di aspettare. Sia mai che arrivi, finalmente, un avversario all’altezza.