Del: 21 Marzo 2019 Di: Michela La Grotteria Commenti: 0
Il ritorno dell'Odio Bianco

Capelli candidi, sguardo fiero: Liliana Segre continua a portare senza commozione la propria storia di sopravvissuta, questa volta a BookPride, davanti a un pubblico abbondante e caloroso.

45 anni di silenzio, da quando, quindicenne, ritornò sola a casa dal lager: e poi, a 60 anni, l’inizio di un ventennio di impegno e molte parole spese in nome della memoria, e della lotta all’indifferenza.

Il suo libro appena uscito, Il mare nero dell’indifferenza, si propone di smascherare questo grande male che è sempre in agguato, pronto ad aggredire la concretezza della verità e della Storia. Nelle sue parole i ricordi della deportazione prendono vita, andando oltre la generalità del fatto storico, facendo percepire come propria la tragedia individuale di una bambina di 8 anni espulsa da scuola, costretta a fuggire, strappata alla sua famiglia e poi arrestata e deportata.

Nel suo racconto i personaggi che la circondano appartengono a due categorie: i giusti e gli indifferenti. I primi hanno confortato, nascosto, protetto, aspettato. I secondi hanno fatto più male dei carnefici. Più male dei nazisti che davano l’ordine di sequestrare e deportare. Perché gli indifferenti non erano i nazisti: erano i compagni di scuola, i vicini di casa, le persone conosciute da sempre che da un momento all’altro voltavano le spalle, chiudevano gli occhi davanti alla sofferenza e al bisogno, chiudevano le finestre al passaggio di una colonna di deportati scheletrici. Ed erano gli stessi che, al ritorno dei sopravvissuti, rifiutavano di ascoltarne i racconti. Gli indifferenti erano interi popoli asserviti, complici.

Liliana Segre dichiara di vedere una vicinanza tra gli ebrei di allora e le vittime degli scafisti di oggi: entrambi sono oggetto dell’opinione comune che studia il fenomeno stilando statistiche numeriche, ma che non riesce ad arrivare a comprendere la tragedia del singolo. Quando non si può dare un nome o una sepoltura alla vittima, perché i suoi documenti sono stati bruciati e sostituiti da un numero tatuato sul polso, o perché il suo corpo giace tra le correnti dell’oceano, è uno sfregio ulteriore. Basti pensare a quanto appena accaduto a Lampedusa: se la nave Jonio fosse affondata, e i 49 migranti a bordo fossero naufragati, quanti si sarebbero davvero sollevati contro chi ha impedito l’attracco e quanti, invece, avrebbero provato un po’ di compassione leggendo la notizia ma, poi, se ne sarebbero presto dimenticati, catalogandolo come “l’ennesimo barcone ribaltato”?

Alla base dell’indifferenza di chi resta a guardare sembra esserci comunque lo stesso movente: l’Odio dell’Uomo Bianco, una malattia pericolosa e latente, ma mai estinta, che a distanza di qualche decennio deve tornare a farsi sentire, scaricandosi su qualche fetta o categoria di popolazione. L’ebreo è il nemico. Il musulmano è il nemico, per il solo fatto di appartenere alla stessa religione di una manciata di terroristi ed estremisti. Il diverso è il nemico, e va rimosso.

Questo è ciò che ha scatenato il recente attentato nelle moschee a Christcurch, in Nuova Zelanda: in un post su Facebook, subito dopo la sparatoria, il killer ha dichiarato di aver agito “per la vendetta contro gli invasori, per le centinaia di migliaia di morti causate da invasori stranieri sulle terre europee nella storia, per la schiavitù di milioni di europei prelevati dalle loro terre dagli schiavisti islamici, e per le migliaia di vite umane perse in attacchi terroristici in tutte le terre europee”. Il suo sarebbe insomma stato un atto di rivincita contro tutti i soprusi commessi contro gli europei non soltanto dall’Isis negli ultimi anni, ma in secoli interi di guerre e conquiste.

Questo solo basta a dimostrare l’esistenza di un odio covato di tempo in tempo, tramandato come in tempi antichi si tramandava un legame di ospitalità, e pronto a tornare in vita ed essere usato per infliggere morte e seminare panico.

Ma perché quest’odio di una civiltà contro l’altra è così forte? Perché l’uomo, generalmente, è più propenso ad odiare che ad amare. L’amore prevede una specificità, un’individualità, è un legame che coinvolge due persone o poco più (una famiglia, per esempio). Al di fuori degli individui coinvolti, nessun altro partecipa di quel legame. L’odio invece è molto più potente: è un collante sociale in grado di unire popoli, centinaia di milioni di individui contro anche soltanto un uomo. L’odio supera i confini spaziali e temporali, lega tante persone quante ne divide, perché non è strettamente vincolante come l’amore: tuo alleato è chiunque condivida il tuo stesso nemico.

In un articolo di qualche anno fa su L’Espresso Umberto Eco scriveva:

L’odio non è quindi individualista bensì generoso, filantropico, e abbraccia in un solo afflato immense moltitudini. È solo nei romanzi che ci viene detto come sia bello morire per amore; di solito è raffigurata come bellissima la morte dell’eroe che lo coglie mentre scaglia una bomba contro l’odiato nemico.

La tendenza dell’uomo ad odiare il diverso da sé è un ottimo punto su cui far leva per mobilitare masse e fare propaganda, farsi apprezzare ed eleggere: ciascuno, si sa, vota per il partito o per la figura politica che dimostra di condividere gli stessi propri ideali, e quando questa figura politica professa l’odio per l’altro ed è in grado di suscitarlo in migliaia di individui, questi individui si sentiranno compresi dal tale politico e lo voteranno; spesso, con conseguenze disastrose per una pacifica convivenza all’interno di un paese.

Negli ultimi decenni nel mondo sta montando un’onda di odio sempre più alta: si pensava che la tendenza suprematista e razzista dell’Uomo Bianco si fosse estinta con la fine dello scorso secolo, ma non è così.

La strage di Macerata ad opera di Luca Traini poco più di un anno fa, quella di Pittsburgh nell’ottobre 2018, il recentissimo attentato in Nuova Zelanda, e il fatto che in molti stati le fazioni estremiste siano al governo o in ogni caso riscuotano grande successo tra gli elettori, ne sono i sintomi: il mondo è di nuovo affetto dall’odio bianco. Non ci si può tirar fuori dallo studio di quest’andamento puntando il dito contro gli attentatori, dichiarandoli pazzi: sarebbe troppo semplice. Come ribadito dalla Segre, i pazzi nel mondo sono una manciata. I killer vengono arrestati, le organizzazioni alle loro spalle possono essere smantellate.

Il vero male è quello che risiede sotto la cresta di questi atti di violenza, è quello che scorre indisturbato nelle menti delle popolazioni e ristagna, è quello che spinge ad eleggere chi incita al razzismo e alla divisione, e che porta una civiltà a porre un muro di discriminazione rispetto a un’altra, dove dovrebbe esserci continuità. L’odio dell’Uomo Bianco va diagnosticato ed estratto, prima che si radichi troppo in profondità, germini e produca i frutti del Male.

Michela La Grotteria
Made in Genova. Leggo di tutto per capire come gli altri vedono il mondo, e scrivo per dire come lo vedo io. Amo le palline di Natale, la focaccia nel cappuccino e i tetti parigini.

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