Del: 18 Marzo 2019 Di: Angelica Mettifogo Commenti: 0

Lo scorso 16 marzo si è svolta al Teatro Grande di Brescia l’ultima delle quattro lezioni che componevano il ciclo “Lezioni di Storia: Le età dell’Europa”.
Il ciclo di conferenze, ideato e promosso dagli Editori Laterza in collaborazione con la Fondazione del Teatro Grande di Brescia, è stato strutturato come un percorso di approfondimento sulla contemporaneità del nostro continente, in particolare modo pensato in vista delle prossime Elezioni Europee (il 26 maggio).

Diviso in quattro episodi, corrispondenti alle quattro età in cui può essere convenzionalmente scandita la storia degli ultimi due secoli, il ciclo ha visto la partecipazione di quattro importanti voci del panorama storico contemporaneo:
Alberto Mario Banti ha aperto il ciclo tenendo una lezione sull’età del nazionalismo, a partire dai moti del ’48 fino alla Grande Guerra. Ha poi proseguito il percorso Emilio Gentile, con una lezione sull’età del totalitarismo, quindi incentrandosi sul periodo che ha come estremi le due Guerre Mondiali. Il terzo incontro ha visto la partecipazione dello storico Gianni Toniolo, che si è occupato di approfondire l’età del welfare, ovvero gli anni che vanno dall’immediato dopoguerra al crollo del muro di Berlino, nel 1989, e l’ultima lezione, condotta dalla storica Simona Colarizi, è stata invece rivolta al presente, all’età dell’incertezza, dagli anni ’90 ad oggi.
Al termine dell’ultimo incontro abbiamo avuto la piacevole e preziosa occasione di parlare con la storica, che ha gentilmente accettato di rispondere a qualche nostra domanda.

[L’intervista è stata editata per brevità e chiarezza.]

 

Dal punto di vista storico, in un certo senso, non sono mai esistiti “periodi stabili” o quanto meno “non incerti”. Allora secondo lei questa perchè viene definita propriamente “età dell’incertezza”? Forse perché per la prima volta chi la vive ne è consapevole?

Secondo me non è vero che c’è più consapevolezza oggi di quanto non c’era negli altri periodi. Nel 1919 le persone erano arrabbiate, piene di rancore, ed era una rabbia che veniva espressa in altro modo, anche più violento: l’avvento dei fascismi e dei nazismi è stato preceduto da delle guerre civili, quindi le persone erano consapevolmente e violentemente armate, l’una contro l’altra e i desideri sul futuro erano altrettanto conflittuali. E questo ancora oggi continua a succedere ugualmente, in generale, nel nostro mondo. L’incertezza nel mondo ci dice quanto ancora siano forti il rancore, l’insoddisfazione, la rabbia, nei confronti degli uni contro gli altri. In Europa tutto questo ancora non appare in modo così manifesto come appare in altri luoghi del mondo, però bisogna stare attenti… perché andare a incrementare il fuoco di questi sentimenti, mi vengono in mente i gillette jaunes, non è che aiuta.

 

Al di là dell’Europa come continente, incerto nel gioco politico a livello globale, c’è molta incertezza anche all’interno dell’Unione Europea. Lei che prossimi scenari si figura?

A questa domanda rispondo come rispondo sempre: io sono uno storico, ho il vantaggio di vedere il passato, di studiarlo e analizzarlo, ma mi è difficilissimo prevedere il futuro. Posso dire che questo futuro, alla luce del passato, lascia ancora aperte una serie di diverse alternative: alcune sono buone, nel senso che nel ’45 si è riusciti a risorgere dalle crisi degli anni ’20 e ’30, alcune invece, se io vedo al’19, forse lo sono meno, forse ci sono dei pericoli. Questa è l’unica cosa che posso dire. A livello personale posso dire con fiducia che noi apparteniamo ancora a delle demorazie consolidate: che mentre gli italiani nel 1919 la democrazia non l’avevano nemmeno ancora conosciuta oggi no, oggi c’è un paese che non vuole fari trascinare in questi baratri.

Ora le faccio una domanda da filosofa, che in un certo senso vuole essere anche un po’ provocatoria. L’incertezza spesso e paradossalmente nasce laddove il contesto si fa più complesso, più partecipato. Secondo lei come si può trovare un equilibrio o anche solo come si potrebbe gestire questa incertezza senza che diventi paralizzante o distruttiva?

Io son d’accordo con lei. L’incertezza può diventare senza dubbio molto positiva: si riflette sul passato e si cerca di inventare il futuro. E riguarda lo stesso termine di crisi, che noi sempre vediamo in negativo, quando invece la crisi, da quello che io capisco e per quello che credo, è un momento di passaggio da una parte ad un’altra e quindi si confronta con un problema aperto. E’ chiaro che tutti gli elementi negativi che hanno i populismi, i sovranismi e i nazionalismi è che invece che dare fiducia nel futuro alimentano la paura del futuro, evitano la crisi, evitano di entrare in questo discorso, evitano il confronto con la realtà. Questo è terribile. La realtà va modificata e soprattutto governata, ma non puoi evitarla andando a disegnare scenari che con la realtà hanno ben poco a che vedere. E’ il discorso della globalizzazione: non puoi dire “mi chiudo attorno al mio guscio” o “rifiuto di mettermi dentro”. Non puoi rifiutare di metterti dentro perché questa globalizzazione ormai ti appartiene.

Angelica Mettifogo
In bilico tra tutto quello che voglio fare e il tempo che ho per farlo. Intanto studio filosofia.