Del: 11 Aprile 2019 Di: Francesca Rubini Commenti: 0
Fuori Luogo

Sono molte le realtà associative che ruotano intorno all’Università Statale di Milano, e tantissimi sono gli studenti che partecipano attivamente a interessantissimi progetti, legati al mondo universitario e non solo. Noi di Vulcano Statale abbiamo deciso di indagare questo “fenomeno” che esiste dalla notte dei tempi, e per farlo abbiamo coinvolto alcuni studenti che ci hanno raccontato la loro esperienza.


Abbiamo intervistato Layla Sit Aboha, studentessa al terzo anno di Scienze Internazionali e parte attiva di Fuori Luogo.

Come spieghereste il vostro progetto a chi non ha mai sentito parlare di Fuori Luogo?

Fuori Luogo è un’associazione studentesca nata circa un anno e mezzo fa dall’esigenza di alcuni studenti della facoltà di Scienze Politiche di trattare temi importanti in questo momento storico in particolare, come la migrazione per esempio, ma da un punto di vista un po’ controcorrente rispetto alla narrazione accademica. Uno dei nostri obiettivi è cercare di analizzare criticamente il fenomeno, strutturalmente e non in maniera “emergenziale”, come invece viene fatto tendenzialmente dai giornali e dai media mainstream. Il progetto è interessante anche perché è riuscito a unire diverse anime. La componente, infatti, è piuttosto variegata: ci sono all’interno ad esempio studenti che già fanno politica all’interno della città con diversi gruppi, ma hanno ritrovato intorno all’ambiente di Scienze Politiche terreno fertile per provare a unire diverse narrazioni e fare dibattito e confronto.

Di quali tematiche vi occupate principalmente e quali sono gli ultimi progetti di cui vi siete occupati? 

Il nostro approccio al fenomeno migratorio è sempre stato quello della ricerca accademica, per cui noi partiamo dalla premessa che viviamo in un contesto in cui le frontiere caratterizzano le nostre vite. Si tratta di una frontiera, però, che va al di là di quella materiale del confine, che divide Stati e nazioni. Stiamo parlando di frontiere anche legate propriamente all’individuo: come quella del lavoro, della discriminazione di genere. Abbiamo iniziato a trattare dell’argomento partendo da differenti punti di vista, e utilizziamo lo strumento della conferenza in università per produrre un sapere critico e analitico, e andare a offrire materiale agli studenti universitari. Per esempio quest’anno abbiamo fatto una serie di conferenze, ospitando anche persone che vivono tutti i giorni le frontiere, come i ricercatori volontari. La prima conferenza che abbiamo organizzato è stata fatta in collaborazione con l’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI), che ci ha spiegato dal punto di vista giuridico cosa sono le frontiere, quali sono i trattati internazionali tra l’Italia e i Paesi considerati “terzi sicuri”. Un altro incontro — sempre sulla questione migratoria — che abbiamo organizzato ha visto la collaborazione con l’Ong Mediterranea: in questa occasione l’attenzione è stata portata su quale è il loro progetto, cosa implica, quali sono i loro obiettivi. Grazie all’intervento di alcuni universitari ricercatori dell’Università di Verona, intorno al tema del genere, è stato molto interessante l’intervento di Massimo Prearo, uno dei ricercatori appunto, che ci ha raccontato il suo dottorato di ricerca sulle discriminazioni di genere che possono esserci nel momento della richiesta della Protezione Internazionale, come il fatto di essere omosessuale/transessuale sia una discriminante. L’ultima conferenza che abbiamo organizzato è stata, invece, la presentazione di un libro dello scrittore Emmanuel Mbolela, un rifugiato che ha scritto il libro Rifugiato: un’odissea africana, in cui racconta appunto la sua odissea: di come sia partito dal Congo e arrivato in Olanda attraverso la Protezione Internazionale. Quello che colpisce soprattutto è la difficoltà non solo, come la percepiamo noi, della frontiera nel momento in cui si arriva nel Mediterraneo, ma le difficoltà che si incontrano alle frontiere inter-statali in Africa, una questione che quasi mai viene prende in considerazione. Mbolela spiegava come ci sia un livello di discriminazione altissima quando si tratta di spostarsi, soprattutto tra i paesi subsahariani e poi tra quelli del Nord-Africa. Pensate che lui stesso è stato bloccato in Marocco per quattro anni. Quattro anni in cui si è trovato senza documenti e senza diritti. Allora ha deciso di prendere in mano la situazione, e si è organizzato politicamente con altri rifugiati congolesi. Insieme hanno creato un sindacato di rifugiati congolesi, un’organizzazione quasi parastatale: per esempio hanno cercato di assicurare la scuola ai bambini congolesi che non avevano accesso a un’istruzione, alle madri che avevano subito violenze sessuali durante la tratta. Il libro è stato tradotto in italiano da Agenzia X.

Come è nato il gruppo?

In realtà ci conoscevamo già tutti, essendo per la maggioranza studenti con un’esperienza politica liceale alle spalle. Ci siamo ritrovati a Scienze Politiche e, a quel punto, la sterilità del dibattito che c’è in facoltà ci ha lasciato quasi senza parole: sia a livello accademico, e soprattutto perché durante le lezioni il tema della frontiera viene trattato a livello sociologico, a livello della giurisprudenza, ma non esiste un dibattito sul presente, che vada a creare una sorta di contro-narrazione. Esistono gruppi in università che fanno produzioni di saperi interessanti sul tema del lavoro, della guerra, di chi sono i responsabili del neocolonialismo oggi… noi volevamo dare invece una forma partecipativa, di costruzione e dibattito. Fino ad ora è andato tutto molto bene, e ne siamo anche un po’ stupiti. Siamo partiti con la consapevolezza che c’era una possibilità che quello che stavamo pensando di fare non avrebbe interessato nessuno a parte noi e, invece, soprattutto grazie al mezzo del dibattito sono venute fuori molte idee e tutte molto interessanti. Ciò che speriamo è che al di là della speculazione teorica si passi alla partecipazione, all’azione. Questo è il passaggio che ci auguriamo. Caratteristica interessante, poi, è che le componenti del collettivo sono persone che si danno da fare. Io, per esempio, scrivo per Milano In Movimento, un sito di informazione online, ma ci sono anche ragazzi di Studenti Indipendenti, di LUME… insomma, c’è una varietà di punti di vista e di analisi. 

Nei dibatti portate solo il punto di vista di chi secondo voi ha qualcosa di interessante da dire o cercate di strutturare un dibattito che metta in contrapposizione chi ha opinioni magari totalmente differenti?

Di solito le nostre conferenze sono organizzate più come presentazione di un’esperienza. È, però, capitato per esempio quando abbiamo fatto l’incontro con Mediterranea che sia venuta a raccontarci la sua esperienza una docente di infermieristica che ha fatto dei soccorsi in mare, per un po’ di tempo, con la Marina Militare. Questo aspetto ci ha messo all’inizio in difficoltà, perché non lo sapevamo quando l’abbiamo invitata. Un risvolto positivo è stato, però, il fatto che abbiamo mosso delle critiche, anche abbastanza radicali, e queste sono state accettate: si è creato un dibattito molto interessante anche sulla contraddizione del sistema della Marina Militare, di come agisce in mare, di come fa i soccorsi, anche nelle relazioni con le Ong: da una parte c’era Mediterranea che diceva “noi aspettiamo i comandi dalla Marina, ma spesso non arrivano, le navi restano bloccate, noi non sappiamo dove sono”. Si è discusso anche dell’ostruzionismo che fa il sistema securitario italiano verso chi va a fare soccorso in mare. 

Ci sono ripartizioni nei ruoli all’interno dell’associazione? 

No, siamo un’organizzazione completamente trasversale. Abbiamo adottato questo metodo, per cui proponiamo dei temi in assemblea e poi facciamo una giornata di analisi politica. Prima di organizzare le varie iniziative, ognuno prepara dei materiali che poi discutiamo in assemblea. 

Uno dei motivi che hanno spinto noi di Vulcano a fare queste indagini sulle associazioni universitarie è il fatto che sono ancora tanti gli studenti che vivono l’università come un luogo in cui andare a seguire lezioni, dare esami e tornare a casa. Ci è sembrato che in alcuni casi ci sia un disinteresse quasi totale nei confronti dei temi dell’attualità da parte dei giovani. Ci chiediamo, si può fare qualcosa per incentivare questi ragazzi a diventare parte attiva? 

Questa è la sfida, è proprio questo che ci proponiamo di fare. È inutile negare che l’università come è organizzata oggi a livello accademico-istituzionale è, purtroppo, diventata un esamificio. I ragazzi vengono in università solo per andare a lezione, dare esami, poi vendono i libri degli esami che hanno sostenuto, vendono gli appunti (tralasciando il fatto che il business della compravendita di appunti è qualcosa di molto grave, una follia). Ma abbiamo fiducia che le cose possano cambiare, ed è quello che cerchiamo di fare coinvolgendo gli studenti nei dibattiti e nelle assemblee.

Intervista di Arianna Preite e Francesca Rubini.

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Francesca Rubini
Vado in crisi quando mi si chiede di scrivere una bio, in particolare la mia, perché ho una lista infinita di cose che mi piacciono e una lista infinita di cose che odio. Basti sapere che mi piace scrivere attingendo da entrambe.
Arianna Preite
Studentessa di Lettere Moderne.
Mi appassionano le conversazioni stimolanti, ma non le chiacchiere di prima mattina.