Oggi è il primo aprile, cosiddetto pesce d’aprile. Alle elementari ci divertivamo ad attaccare dei pesci di carta alle spalle dei nostri inconsapevoli compagni. Crescendo gli scherzi sono diventati più crudeli; dalle stringhe delle scarpe allacciate insieme alla cicca tra i capelli, passando per gli scherzi telefonici, le sedie levate all’ultimo, e molto altro.
Oggi questa giornata dall’origine incerta ha invaso anche i social: ovunque si possono vedere meme e immagini che usando il pretesto della festa cercano di strappare qualche risata, anche amara.
Persino le testate giornalistiche e le pagine di informazione hanno deciso di sfruttare le potenzialità del primo aprile, facendo uscire articoli dai titoli verosimili e accattivanti seguendo le migliori regole del clickbaiting.
Stare sul web in questa giornata significa girare sempre in punta di piedi e chiedersi continuamente: questa notizia sarà vera o falsa? Questa domanda, però, dovrebbe guidare sempre la fruizione delle notizie, non solo oggi, soprattutto in tempi in cui click, like e condivisioni valgono molto più di un giornalismo ben fatto.
Il lavoro di debunking o factchecking è costante, ma c’è spesso una sorta di diffidenza verso chi tenta di smascherare le notizie false o imprecise. Oggi invece nei commenti agli articoli le persone riconoscono, o quantomeno sospettano, che la notizia riferita sia falsa. C’è chi scrive: “Sono persino andato a controllare sul sito dell’Ansa” — prassi che bisognerebbe sempre seguire quando si legge una notizia. D’altra parte c’è anche chi non è capace di riconoscere lo scherzo e accusa testate serie di diffondere fake news.
Scherzando si può dire tutto, anche la verità: su questa massima si basano tutti i fools shakespeariani, gli unici che avevano la possibilità di dire la verità senza rischiare di essere uccisi o allontanati da corte.
Un paese che addita satira e umorismo come sbagliati o offensivi invocando il politically correct è, in definitiva, un paese che ha totalmente perso il senso critico.
In Italia si può notare un grande analfabetismo digitale che, sommato a una crescente percentuale di analfabeti funzionali, rende impossibile distinguere una notizia vera da una falsa. Se pensare a un’educazione digitale per tutti sembra un’utopia, allora non ci resta che sperare in un pesce d’aprile continuo, che certo gioverebbe al giornalismo.