Del: 21 Maggio 2019 Di: Michela La Grotteria Commenti: 0
Alabama: l’aborto è un crimine

16 maggio 2019: il governatore dell’Alabama Key Ivey twitta: “Ho firmato. La legge afferma con forza l’idea che ogni vita è preziosa ed è un regalo di Dio”. La legge che ha firmato è l’Alabama Human Life Protection Act, sentenza approvata in Senato grazie al voto di 25 uomini repubblicani rispetto a soli 6 contrari, che rende l’aborto illegale in ogni stato della gravidanza, senza eccezioni in caso di stupro o incesto, prevedendo inoltre fino a 99 anni di pena per un medico che ne effettui uno. Unica circostanza concessa: il serio rischio di sopravvivenza per la madre. Sembrerebbe l’inizio di un romanzo distopico ambientato in un universo misogino, ma è la realtà in uno degli stati federali d’America.

È una mossa astuta che, se giocata bene, potrebbe riportare gli Stati Uniti indietro di 46 anni sul piano dei diritti civili: risale infatti al 1973 la Roe v. Wade, sentenza della Corte Suprema che legalizzò l’aborto a livello federale. La promulgazione del Life Protection Act è dunque anti costituzionale, e gli autori ne sono ben consapevoli: la strategia prevede di arrivare con questa legge alla Corte Suprema dove, anche se venisse sospesa dal Tribunale, permetterebbe di iniziare un dibattito e rivedere la Roe. Le speranze che ciò si realizzi sono più che fondate, vista la percentuale di giudici conservatori attualmente presenti (5 su 9), tra cui Neil Gorsuch e Brett Kavanaugh, sostenuto da Trump nonostante le accuse di molestie sessuali.

La conquista del diritto all’aborto è recente ma già in pericolo: un primo segno di cedimento era avvenuto nel 1992, quando la Planned Parenthood v. Casey riaffermò la legalità dell’aborto, ma concesse libertà di movimento ai vari stati, che cominciarono a inserire piccole misure per limitare significativamente la possibilità di effettuare o richiedere un aborto. In altre parole, non potendo dichiarare illegale una clinica, le vennero imposte misure igieniche così severe e peculiari che era costretta a chiudere, non riuscendo a rispettarle; oppure furono ridotte le settimane entro le quali era consentito abortire da 24 a 20.

Il caso dell’Alabama è estremo, ma non isolato: secondo il Guttmacher Institute in 28 Stati (North Dakota, Arkansas, Iowa, Kentucky, Missisipi…) sono state presentate proposte di legge che propongono in qualche modo divieti o limitazioni all’aborto. Esempio emblematico sono i cosiddetti heartbeat bills, che vietano l’aborto dopo il primo momento in cui il battito del feto sia percepibile, il che avviene attorno alle 6 settimane di gravidanza, quando molte donne ancora non sanno neppure di essere incinte. Ma neppure questi decreti sono stati ritenuti sufficienti da Eric Johnston, l’avvocato che da 30 anni si batte per porre fuori legge l’aborto: nell’intervista trasemessa su Daily, il podcast del New York Times, dichiara che il fondamento di questa legge è che “the unborn child is a person”, concetto a suo parere non abbastanza sottolineato dagli heartbeat bills. Questa sarebbe anche la giustificazione per l’esclusione di stupro e incesto: dal momento in cui il feto si trova nell’utero -comunque ci sia finito- è da considerarsi una persona.

In realtà questo ragionamento, per quanto retoricamente efficiente su masse di fanatici, non è scientificamente corretto: la ginecologa Jen Gunter ha rivelato al Guardian che le pulsazioni attorno alla sesta settimana non sono da confondere con un battito cardiaco in quanto il cuore, e gli altri organi non sono ancora costituiti a quell’altezza, pertanto il feto non è un “piccolo bambino”.

Le reazioni sono state forti e decise: centinaia di manifestazioni e cortei hanno avuto luogo negli ultimi giorni (con protagoniste donne evocativamente travestite come nel romanzo Il racconto dell’ancella), sono stati lanciati messaggi di disgusto nei confronti della legge e degli uomini che l’hanno approvata e varie proteste sono arrivate anche da celebrità, fra cui Mila Jovovich, Rihanna, Lady Gaga.

E’ senz’altro valida la polemica, considerato che sono stati 25 senatori uomini a decidere le sorti di un diritto esclusivamente femminile, ma non bisogna dimenticare che il governatore che ha firmato la legge è una donna.

D’altra parte moltissime sono state le senatrici e alcune candidate alla presidenza degli Usa che hanno alzato la voce, chiamando questa sentenza con il suo vero nome, un oltraggio alle donne, e invitando gli americani a non accettarla e a “combattere come l’inferno”.

Michela La Grotteria
Made in Genova. Leggo di tutto per capire come gli altri vedono il mondo, e scrivo per dire come lo vedo io. Amo le palline di Natale, la focaccia nel cappuccino e i tetti parigini.