Alla vigilia dell’apertura del Salone del Libro di Torino, la Trentaduesima Edizione del festival si trova all’interno di una vera e propria bolla mediatica.
Il tutto ha preso avvio dal dubbio diffuso sul Web riguardo alla partecipazione o meno all’evento del leader della Lega Matteo Salvini, oggetto di critica per le numerose affermazioni estremiste e razziste. Si diceva, infatti, che volesse presentare il suo nuovo libro Io sono Matteo Salvini, intervista allo specchio presso lo stand di Altaforte Edizioni che lo ha pubblicato.
Tuttavia, il post rilasciato in risposta dal direttore del Salone, Nicola Lagioia, è stato categorico: a qualunque politico è stato chiesto di presentarsi, qualora lo volesse, solo in veste privata o istituzionale, ma non come facente parte dell’evento stesso. La questione sembrava essersi dunque risolta, ma un’altra si è delineata all’orizzonte: le successive parole di Lagioia infatti spostano i riflettori dalla presenza di Salvini a quella di Altaforte, casa editrice di recentissima fondazione che si autodefinisce “sovranista” e mostra più di un legame diretto con il gruppo neofascista CasaPound, in primis nella figura del suo direttore Francesco Polacchi, più volte dichiaratosi neofascista e attivista del partito, e in secondo luogo tramite la pubblicazione della rivista ufficiale del suddetto schieramento, Il Primato Internazionale.
Lagioia quindi solleva il dubbio sulla reale legittimità di Altaforte a far parte del festival: “Ritengo quindi, io e il comitato editoriale, a maggior ragione nell’anno del centenario di Primo Levi, che all’apologia del fascismo, all’odio etnico e razziale non debba essere dato spazio nel programma editoriale. Mai. Neanche a ciò che può essere in odore di tutto ciò. […] Crediamo che la comunità del Salone possa sentirsi offesa e ferita dalla presenza di espositori legati a gruppi o partiti politici dichiaratamente o velatamente fascisti, xenofobi, oppure presenti nel gioco democratico allo scopo di sovvertirlo. È imbarazzante ad esempio ospitare la testimonianza di Tatiana Bucci (deportata ad Auschwitz con sua sorella Andra quando era bambina) in un contesto dove c’è anche chi sostiene le ragioni dei suoi carnefici”.
La questione, ancor più fortemente sostenuta dal suo consigliere Christian Raimo, viene accolta dal Comitato del Salone che si riunisce, ma in data 4 maggio delibera a favore di Altaforte. Due sono le principali motivazioni presentate: l’una si rifà al principio di libertà di espressione di pensiero sancita dall’articolo 21 della Costituzione Italiana (“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”); l’altra invece si fonda sulla non-illegalità del partito di CasaPound e della sua casa editrice: dal momento che nessuna magistratura li ha finora condannati per il reato di apologia di fascismo, Altaforte ha il pieno diritto di acquistare uno spazio al salone ed esporvi i propri libri.
Lo stesso Lagioia tiene poi a specificare, sempre tramite post, che il grado di partecipazione di Altaforte è minimo dal momento che occupa appena dieci metri quadri in uno spazio da sessantamila, non presenta alcun incontro ufficiale all’interno del programma e il pomo della discordia, ossia il libro-intervista di Salvini, non sarà presentato in occasione del festival.
Nonostante le rassicurazioni, tuttavia, la decisione del Comitato determina una forte reazione da parte del consigliere Raimo, che rilascia su Facebook una forte argomentazione, intitolata “L’antifascismo è militante oppure non è”, in cui denuncia come fascisti alcuni autori, editori e giornalisti. Subito si solleva una sequela di commenti e attacchi all’autore che in seguito rimuove il messaggio, sostituendolo con un post che descrive le precedenti parole come una “presa di posizione strettamente personale”, ma che ne annuncia anche le dimissioni dalla carica di consigliere proprio a causa della propria reazione troppo violenta e, si presume, per sancire il proprio distanziamento dal Salone.
L’apparente passo indietro di Raimo determina così un effetto a valanga di defezioni: i primi sono i componenti del collettivo artistico Wu Ming, che denunciano la mancata presa di posizione contro il neofascismo da parte del Comitato del Salone. Accusano l’organizzazione di rifugiarsi dietro al concetto di “legalità” per non assumersi una responsabilità politica e morale, dal momento che “per rigettare il fascismo, non serve il timbro della questura”.
Parole forti che vengono appoggiate da Carlo Ginzburg, storico e saggista, che annuncia la propria decisione di non partecipare in gesto di solidarietà e appoggio a Christian Raimo, una decisione che egli ribadisce essere “una scelta politica, che non ha nulla a che fare con la sfera della legalità”.
Sui social, dove lo scandalo ha preso il via, si susseguono cancellazioni e denunce: dalla reporter freelance Francesca Mannocchi (che scrive dai territori di guerra e testimonia la realtà delle migrazioni), al fumettista Zerocalcare, per giungere al Presidente nazionale Anpi Carla Nespolo. La vicenda ha ora assunto toni internazionali in seguito ad una lettera firmata dal direttore del Museo Statale di Aushwitz-Birkenau, Piotr M. A. Cywiński, in cui si chiede che il Comitato del Salone scelga tra l’avere tra i partecipanti Altaforte o il Museo accompagnato da un’altra firmataria, Halina Birenbaum che dovrebbe partecipare all’evento “Questo è un uomo” come testimone sopravvissuta ai lager.
A fronte di questo esodo, tuttavia, si riscontra un diverso tipo di reazione: una differente modalità di protesta.
Iniziatore della tendenza è lo stesso Christian Raimo che in un post successivo annuncia la sua decisione di partecipare al festival come semplice lettore. Potrebbe dapprima sembrare un controsenso, eppure non è così, l’autore si dice orgoglioso del programma organizzato e curioso di partecipare a numerosi eventi che percorrono la strada opposta rispetto a quella di Altaforte.
Vi sono incontri che racconteranno la vita di Primo Levi, sopravvissuti che narreranno dei campi di concentramento e dei ghetti ed ancora migranti che ci renderanno partecipi delle loro storie, accanto ai medici che, come Cristina Cattaneo, sottolineeranno l’importanza di dare un nome e un volto ai morti del Mediterraneo.
In molti hanno seguito l’esempio del consigliere e, infatti, stanno moltiplicandosi le persone che annunciano la propria partecipazione “non ‘nonostante’ la presenza di case editrici di matrice dichiaratamente neofascista, ma proprio ‘a motivo’ della loro presenza.” Così scrive la scrittrice e critica Michela Murgia che si propone anche di utilizzare il tempo del proprio incontro per sensibilizzare sulle azioni nefande che il fascismo compì e, anzi, invita il pubblico a farsi soggetto attivo portando con sé un libro che “per loro incarni e rappresenti i valori della democrazia, dell’umanità e della convivenza offesi dal fascismo e dal nazismo”.
Altra iniziativa di attiva manifestazione è quella di cantare Bella Ciao davanti allo stand di Altaforte e c’è già chi si sta organizzando su Facebook. Raimo è dunque il primo, ma sicuramente non l’ultimo, gli segue la casa editrice miminum fax e numerose scuole, le cui prenotazioni alla presentazione del libro Noi, bambine ad Auschwitz di Tatiana e Andra Bucci ha determinato un cambio di location per permettere di ospitare tutti i partecipanti. Tanti altri si stanno poi unendo in solidarietà tramite l’hashtag #iovadoatorino.
Un’altra questione che è venuta fuori, anche se in maniera piuttosto velata, è quella relativa alla gestione della manifestazione, che ha permesso che effettivamente ci si trovasse in questa situazione di stallo. Riccardo Burgazzi (Prospero Editore) così ha commentato: “Ecco qual è il punto che non esce, l’autentica causa del problema: le cose sono state fatte di fretta e per soldi. […]: come si fa a controllare i cataloghi di 300 e passa editori se ci sono solo due mesi di tempo? E come si fa a mandare via uno che ha già pagato mezza quota? Chi mai ha fatto questi controlli nei cataloghi? Che ne sappiamo se non ci sono editori mafiosi o editori che pubblicano menzogne? Anche questi sono criminali. […] dobbiamo parlare di fascismo, anziché di malagestione? Va bene, parliamone. Perché lo Stato non mette al bando un partito esplicitamente fascista? […]
E siamo sicuri che il nemico si combatta in questo modo, e cioè con la ritirata?”
Se, da una parte, la paura è che partecipare all’evento giustifichi la presenza di questo stand e porti ad una legittimazione e una normalizzazione in campo culturale e politico delle idee neofasciste che esso rappresenta; dall’altra parte, ritirandosi dal festival, si rischia di lasciar troppo spazio ad Altaforte e CasaPound ed è innegabile che quando in un coro di voci alcune smettono di cantare, saranno le altre a prevalere.
È quindi difficile decidere se schierarsi fra chi, giustamente, rifiuta di partecipare ad un evento in cui sarà presente una casa editrice così invischiata con idee anticostituzionali e chi, invece, decide di proseguire la lotta durante il festival che è diventato ora un “campo di battaglia, culturale, politica, civile, antifascista”, secondo le parole di Raimo.
La stessa redazione di Vulcano Statale si è trovata divisa riguardo a quale delle due forme di protesta sia meglio appoggiare, e non si è giunti ad una conclusione unitaria, perché una risposta unanime è impossibile.
Si tratta di una scelta che sta alla coscienza e alla sensibilità di ciascuno, nonché alla propria propensione caratteriale, ma nessuna delle due scelte è da rigettare come sbagliata. Michela Murgia ha sintetizzato questo concetto in un semplice commento, scrivendo: “la scelta di Wu Ming è legittima, la scelta di chi andrà per le ragioni che ho esposto non lo è da meno. Fare a gara a chi è più antifascista è un ottimo modo per perdere di vista l’obiettivo: il fascismo”. A riguardo si è espresso anche Zerocalcare: “non traccio linee di buoni o cattivi tra chi va e chi non va, sono questioni complesse che non si esauriscono in una scelta sotto i riflettori del Salone del libro e su cui spero continueremo a misurarci perché la partita non si chiude così. Sono contento che altri che andranno proveranno coi mezzi loro a non normalizzare quella presenza, spero che avremo modo di parlare anche di quello”.
Appoggiandoci a quest’ultimo appello al dialogo che ha espresso il fumettista, possiamo aggiungere che questa si rivela essere una scelta difficile probabilmente perché il primo istinto è chiedersi come sia possibile che ancora oggi, a più di settant’anni dalla caduta del fascismo, ci si ritrovi a discutere nuovamente con persone e organizzazioni che ne sostengono le idee e ne difendono l’operato. Si potrebbe pensare che la Storia abbia già parlato a sufficienza e che lo scontro che prende avvio in questi giorni non abbia ragion d’essere, perché le idee che ne sono la causa non dovrebbero aver voce.
Tuttavia, l’esistenza di una casa editrice come Altaforte e di un partito come CasaPound alle sue spalle, nonché la linea sempre più intollerante ed estremista che i governi odierni stanno adottando e proprio il tafferuglio che dieci semplici metri quadri hanno saputo provocare, mostrano come tale dibattito sia – seppur illecito – necessario.
Perché, se il principio di libertà di espressione consente a formazioni neofasciste o sovraniste di trasmettere le proprie opinioni e idee, a maggior ragione l’antifascismo ha diritto di esprimersi con forza, tramite le parole e i libri: tramite la cultura.