Nell’ufficio ci sono sette o otto ragazzi, giovani, ognuno con un portatile davanti. Da Settembre, fra le altre cose, si stanno occupando di organizzare uno dei festival più importanti del nord Italia. Dal 2014, quando tutto è iniziato, sono passati da qui diversi pezzi da novanta della scena indie, rap e trap italiana: da Salmo a Calcutta, passando per Ghali, Cosmo, Coma Cose, Myss Keta e tanti altri.
Si tratta del Woodoo Fest 2019, dal 17 al 21 Luglio a Cassano Magnago, in provincia di Varese e a 40 km da Milano.
Quest’anno la line up non è da meno, con nomi come Canova, Franco 126, Fast animals and slow kids, Massimo Pericolo, Ivreatronic e Tre allegri ragazzi morti. Ma il Woodoo non è solo musica: è il campeggio, il bosco, il market, lo street food. Un insieme di esperienze che contribuiscono a creare un’atmosfera unica e stimolante.
Ci siamo chiesti come si mette in piedi un evento del genere e ce lo ha raccontato Matia Campanoni, direttore artistico del festival.
«Siamo in dieci a lavorare nell’organizzazione del festival. Lavoravamo già nell’organizzazione eventi e lo facciamo tutt’ora, ma il Woodoo è una cosa a parte. E’ nato dal tentativo di uscire dall’ambiente dei club e fare qualcosa di più grosso. E’ stato un passaggio naturale».
Quali sono le difficoltà che incontra chi decide di organizzare un festival musicale dal nulla?
«Il bisogno di risorse sicuramente, che all’inizio sono soprattutto interne al gruppo. Un club offre già tutto il necessario, trovi tutto pronto mentre con i festival non è così, i costi sono più elevati e c’è tanta burocrazia. Ma la difficoltà sta anche nel capire i propri punti di forza e nel dare un’identità al festival».
A proposito d’identità: come si è sviluppata quella del Woodoo?
«E’ una consapevolezza che è arrivata nel tempo, in maniera spontanea. Volevamo che le persone vivessero un’esperienza e vi si immergessero dentro. Abbiamo preso ispirazione dai grandi festival europei in cui le persone rimangono lì per giorni e si dimenticano dove sono. Così è nata l’idea del campeggio. L’anno scorso abbiamo inviato un questionario a cinquecento persone per sottoporre alcune questioni: sono emerse le richieste di più dj set e più concerti acustici».
Qual è il vostro rapporto con i vicini di casa e con Cassano Magnago?
«La zona non è particolarmente abitata, il disagio logistico è limitato. Ma il festival ha un impatto acustico importante, questo sì. Noi ogni anno giriamo tutte le case portando una lettera in cui spieghiamo che cos’è per noi il Woodoo, senza nasconderci, pregando di avere pazienza e mettendoci a totale disposizione. Con il Comune c’è un rapporto ottimo, ci appoggiano in tutte le idee pazze che abbiamo».
Che cosa convince un artista a partecipare a un festival?
«Molto lo fa la reputazione. Noi abbiamo investito molto sul service: le band suonano su un palco che è una bomba per il light design; si trovano molto bene, ci dicono. Ricevono tutto quello di cui hanno bisogno, si crea una bella situazione di scambio nel backstage. Poi le agenzie e gli artisti parlano tra di loro. Si arriva a un certo punto in cui gli artisti che vuoi, vengono. Inoltre sanno di avere un grande pubblico garantito. L’anno scorso Cosmo ha girato molto tra la folla dopo il concerto, ha apprezzato l’atmosfera carica, le installazioni magiche nel boschetto».
E’ più passione o più lavoro?
«Entrambe le cose. E’ l’espressione massima del nostro lavoro quotidiano di organizzazione eventi. Svolgendolo abbiamo imparato abbastanza da renderlo il nostro lavoro. Ma di sicuro non è business, a differenza di altri eventi che organizziamo, grazie ai quali riusciamo a finanziare il festival».
Più stress o più divertimento?
«Lo stress è soprattutto economico. Sarebbe bello affrontare il festival senza questa preoccupazione. Sicuramente il lavoro è pesante. E’ un ciclo continuo: alle tre si chiude, alle cinque arriva l’impresa di pulizie, poi cominciano i soundcheck, poi si riapre di nuovo. E’ un gioco d’incastri bello ma complicato».
Chi sono i cantanti con cui vi siete trovati meglio?
«Sul piano professionale, un esempio è Salmo. Alcuni giorni era lui che spingeva noi. Umanamente, ci ha colpito Calcutta per come ha preso il festival; ma anche i Coma Cose, i Canova che si sono commossi sul palco».
Novità di quest’anno e sogni per il futuro.
«La vita del camping con nuove attività: stiamo lavorando per avere un piccolo teatro e un cinema; ci saranno due laboratori di design curati dallo IED sabato e domenica; metteremo una sala giochi arcade, stile anni ’80. Il market diventerà più esperienziale: parrucchieri, magliette personalizzabili, tatuaggi. Ci sarà anche uno che ti fotografa le tette e te le stampa sulla maglietta».
E i sogni per il futuro?
«Ognuno credo se lo immagini in modo diverso. Io vorrei che venisse sempre più identificato come il festival dove paghi l’abbonamento e stai nel campeggio. Alla gente piace, quest’anno con mezza line up avevamo già esaurito gli abbonamenti early bird».
Che consigli dareste a chi vuole organizzare un evento del genere?
«Non iniziare da un festival, partire dal piccolo. Mettere insieme un gruppo che funzioni, capire quali sono le qualità individuali e insistere su quelle. Noi all’inizio avevamo un gruppo forte e unito, con passioni comuni. Bisogna andare per step, misurandosi coi propri errori e con la burocrazia crescente. E poi ascoltare un sacco di cose».
Qualche aneddoto divertente per concludere?
«Ce ne sono tanti. Ricordo la sbronza colossale di Calcutta, che è rimasto in giro fino alle 7. La sera in cui ha cantato Frah Quintale, sotto al diluvio, con la gente che ballava in una pozza d’acqua. Ma anche nel campeggio accadono cose assurde. L’anno scorso un gruppo di ragazze dal Veneto ci ha scritto chiedendo di spedire uno strap-on che avevano dimenticato».