Quentin Tarantino ha ribadito più volte di voler dirigere durante la sua carriera soltanto dieci film. Un’altra delle originali trovate del regista statunitense che lo hanno reso celebre nel mondo mediatico sin dagli esordi, quando nei cinema fu proiettato Le iene, il suo primo lungometraggio. Correva l’anno 1992 quando gli occhi degli spettatori si posavano per la prima volta sui suoi gangster imbranati e moralmente ambigui, capaci di catturare ben presto l’immaginario collettivo popolare e consacrando lo stile sui generis di Tarantino.
In questi giorni nelle sale viene proiettato quello che, prestando fede alle dichiarazioni del regista, dovrebbe essere il suo penultimo film: stiamo parlando ovviamente di C’era una volta a… Hollywood, uscito in Italia il 18 settembre, con un mese e mezzo di ritardo rispetto al resto del mondo. Non è solo il nome del regista ad attirare il pubblico, bensì anche la presenza di due attori ormai famosissimi a livello mondiale, cioè il nostro lontano compatriota Leonardo DiCaprio e lo statuario Brad Pitt, per la prima volta in collaborazione sul grande schermo.
Nel corso delle quasi tre ore di scene, seguiamo le vicende di un attore in declino (Rick Dalton, interpretato da DiCaprio) residente nella sfarzosa Hollywood degli anni ’60. Dalton non ha più il carisma degli anni passati e viene ormai relegato a ruoli di secondo piano, generando in lui una profonda frustrazione. Scarrozzato da una parte all’altra degli studios per partecipare a noiose sedute di trucco e di riprese, Dalton si mostra ben presto allo spettatore come un uomo alcolizzato e distratto, oltre che un accanito fumatore. Non l’incarnazione della tipica star del cinema, si potrebbe dire.
Brad Pitt è invece il sardonico e taciturno Cliff Booth, autista, tuttofare e galoppino di Dalton, che lo aiuta in ogni situazione, dai consigli professionali alla riparazione dell’antenna sul tetto. Le linee narrative dei due protagonisti vengono intrecciate soprattutto nella seconda metà del film con quelle del regista polacco Roman Polański (nel film, vicino di casa del personaggio fittizio interpretato da Di Caprio) e di sua moglie Sharon Tate, all’interno della cornice dell’equivoca e oscura Comune hippie di Spahn Ranch, realmente esistita. Malgrado non sia presente una vera e propria trama a guidare i personaggi, Tarantino riesce con la sua maestria a rendere interessante e pittoresca la vita quotidiana dei protagonisti, guardati sotto una lente che li fa apparire molto vicini all’uomo comune, con i loro errori, sfoghi, delusioni e insoddisfazioni sul lavoro.
Il mestiere dell’attore infatti viene raccontato qui in modo radicalmente diverso da come si tende collettivamente ad immaginarlo, nonostante il film non risparmi le panoramiche mozzafiato sulle lussuose ville dei residenti del tempo e sulle luci cittadine in lontananza. Il film mostra inoltre come qualsiasi prodotto cinematografico attraversi numerose e complicate fasi di produzione e gli attriti sul set non possono che complicare lo svolgimento di una qualsiasi produzione.
Tarantino ci mette davanti agli occhi tutta la concreta e difficile realtà nascosta sotto la superficie patinata del mondo hollywoodiano.
Il finale del film lega tutte insieme le varie vicende apparentemente slegate tra loro, rimandando inoltre ad un brutale fatto di cronaca nera realmente accaduto nel 1969 a Hollywood. La violenza e il sangue, segni distintivi del celebre regista, accompagnati dai dialoghi surreali e dalle situazioni sopra le righe, ci vengono fatti come annusare, percepire, scena dopo scena, soprattutto dal momento in cui viene svelato un subdolo evento del passato di Cliff (Brad Pitt). Forse a partire da questa scena rivelatrice la percezione del film muta, incanalandosi lentamente verso ciò che il pubblico di Tarantino si aspetta.
Le attese vengono così premiate nel lungo finale dal sapore agrodolce; in particolare per chi conosce già la vera storia della famiglia Manson, ovvero i mefistofelici hippie nel film. In conclusione, nonostante la lunga durata (ma a questo il regista ci ha abituati), C’era unavolta a… Hollywood offre un realistico spaccato della vita del tempo, popolato da personaggi esuberanti, ville principesche, donne sgargianti, ma anche – e Tarantino non mostra mai il bello senza capovolgerlo nell’orrido – violenza, riflessioni sulla pericolosità delle droghe e pensieri perfidi spesso mascherati da buoni ideali, come ci mostra la Comune. Questo penultimo film appare così all’altezza delle aspettative della critica e del pubblico, nonché delle altre creazioni di Tarantino.