43 anni, master a Londra, tenente colonnello dell’esercito, fondatore di un’agenzia di cyber-security e, dal 2 aprile 2018, primo ministro Etiope. L’operato di Abiy Ahmed Alì sembra rappresentare, finora, una vera svolta nella storia recente etiope e un faro di speranza per i paesi dell’Africa orientale. Anche per questo motivo la Fondazione ha deciso di conferire il premio a questo personaggio, sconosciuto ai più in Europa: per dare manforte a un politico che ha avviato una coraggiosa serie di riforme in tema di diritti civili.
Abiy Ahmed è stato eletto con il Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope, la coalizione di quattro partiti che è al potere dal 1991. Il Fronte ha guidato il paese sulla strada della crescita economica, con un’impennata del PIL dagli 8 miliardi di inizio secolo agli 80 miliardi di oggi; ha portato così l’Etiopia a diventare la prima economia dell’Africa Orientale, superando il Kenya, tanto da far parlare di uno sviluppo economico in stile asiatico.
Ma la stessa coalizione ha anche instaurato un regime illiberale, caratterizzato da arresti arbitrati, repressioni violente, spionaggio sui cittadini ed elezioni truccate. Nel 2015 il Fronte falsò platealmente le elezioni, ottenendo praticamente la totalità dei seggi parlamentari. Nel corso degli anni le tensioni aumentarono al punto che si sfiorò una guerra civile nel 2018. Da vent’anni la leadership della coalizione (e del paese) era detenuta dall’etnia Tigrini, che rappresenta circa il 6% della popolazione. Il primo ministro Tigrini si dimise nella speranza di calmare le acque e il Fronte, in piena crisi, decise di affidare la guida dell’esecutivo proprio ad Abiy Ahmed Alì. L’Etiopia ebbe così per la prima volta nella storia un premier di etnia Oromo (etnia che costituisce più del 34% del popolo etiope).
Da allora, con delle riforme epocali, il primo ministro ha dato al suo paese una forte spinta in senso liberale: ha liberato circa 60mila giornalisti e oppositori politici, ha revocato la messa al bando di diversi gruppi dell’opposizione, ha affidato metà degli incarichi di governo a donne e ha promesso elezioni libere nel 2020 (riconoscendo dunque l’illegittimità delle passate consultazioni), mettendo a capo della commissione elettorale un membro di un partito d’opposizione.
La motivazione che accompagna il premio ha però sottolineato l’importanza di un provvedimento in particolare, ovverosia la conclusione delle ostilità con la vicina Eritrea. Per comprendere la ragione del conflitto tra i due paesi, bisogna fare un passo indietro fino al 1998, anno in cui scoppiò una violentissima guerra per questioni di confine tra i due stati, conclusasi nel 2000 con la firma dei trattati di pace ad Algeri. Tali accordi stabilirono la creazione presso L’Aia di una Commissione per la delimitazione dei confini, la quale assegnò la città di Badme (contesa fin dal 1993, quando cioè l’Eritrea ottenne l’indipendenza dall’Etiopia) all’Eritrea. Il governo etiope non accettò la decisione e occupò militarmente la città.
Dopo aver mostrato segni di apertura nel discorso d’insediamento, il 7 luglio dell’anno passato il primo ministro etiope è andato in visita ad Asmara, la capitale eritrea, per la prima volta dalla fine della guerra; poco dopo, i leader dei due paesi hanno firmato un accordo di pace e Abiy Ahmed ha ufficialmente riconosciuto gli accordi di Algeri, dando inizio al processo di riavvicinamento fra i due stati e alla riapertura dei confini.
Il premier ha attirato l’attenzione anche per il suo impegno ambientalista. Per combattere la deforestazione, che in Etiopia ha procurato danni enormi, Abiy Ahmed ha lanciato la campagna Green Legacy: il 29 luglio 2018 i cittadini etiopi, incoraggiati dal governo, si sono dedicati al rimboschimento del paese, stabilendo l’impressionante record mondiale di 350 milioni di alberi piantati in un solo giorno.
In molti si chiedono quanto durerà l’onda riformista del primo ministro, se davvero potrà garantire libere elezioni il prossimo anno, se sarà in grado di controllare le tensioni tra i numerosi gruppi etnici e se riuscirà a fronteggiare i tentativi dell’élite di tornare al potere (a giugno Abiy Ahmed ha dovuto affrontare un tentativo di golpe nella regione di Amhara; inoltre l’anno scorso un attentato contro il primo ministro aveva causato due morti e un centinaio di feriti). In tutto questo, il processo di pace con l’Eritrea avviato l’estate scorsa sembra essere giunto a una fase di stallo, soprattutto per volontà del dittatore eritreo Isaias Afewerki. Ma, come ha detto il presidente del comitato Berit Reiss-Andersen: «Senza dubbio alcune persone penseranno che quest’anno il premio sia stato assegnato troppo presto. Il comitato norvegese per il Nobel crede che sia adesso che gli sforzi di Abiy Ahmed meritino riconoscimento e che abbiano bisogno di incoraggiamento».