Del: 27 Ottobre 2019 Di: Arianna Locatelli Commenti: 0

This is the price I’m ready to pay if this is what it takes to stand up for what I believe is right. It’s worth it.

Parole forti quelle di Enes Kanter, centro dei Celtics di origini turche. Ma se ora si cerca il suo nome su Wikipedia, si trova la denominazione “cestista apolide”. Come mai questo ragazzo di 27 anni viene definito senza cittadinanza? La storia di Enes Kanter, tornata recentemente sotto i riflettori e sulle prime pagine dei giornali per le sue ultime prese di posizione a favore del popolo curdo, inizia tempo fa.

Lui stesso si ritiene infatti uno dei più ferventi oppositori del regime vigente ora in Turchia.

Nel luglio del 2016, dopo il fallito golpe turco e l’emissione di leggi speciali sulla repressione contro ogni tipo di opposizione, Kanter si schiera apertamente contro il presidente Erdogan. Sarà l’inizio di un estenuante periodo, ancora lontano dalla conclusione, in cui la voce del giocatore cercherà di stagliarsi chiara e forte al di sopra di chi vorrebbe metterla a tacere, accusandolo di essere un tra-ditore della sua patria. Ma lui non arretra: “Stand up for freedom and democracy. Even if it means sacrificing EVERYTHING”, scrive sulla sua pagina Twitter.

E sicuramente Kanter sta sacrificando molto nella sua lotta contro il silenzio. Nel luglio del 2017, mentre si trova in Indonesia (paese legato alla Turchia) per un campus di basket per le sua associazione benefica Light Foundation che assiste bambini non abbienti nel mondo, riesce a fuggire a un tentato sequestro prendendo il primo aereo per l’Europa. Atterrato all’aeroporto di Bucarest scopre di non poter ripartire per gli States a causa della revoca del suo passaporto, ad opera delle autorità turche; solo l’intervento dei senatori dell’Oklahoma potranno farlo tornare sul suolo americano.

Non si è ancora però arrivati all’apice della tensione che si sta creando attorno al giocatore. In una conferenza stampa, infatti, Kanter definisce Erdogan come «l’Hitler del ventunesimo secolo». Cinque giorni dopo scatta in Turchia un mandato d’arresto nei confronti del cestita: il governo lo ritiene un oppositore del governo anche a causa delle sue simpatie nei confronti di Fethullah Gülen (avversario di Erdogan rifugiatosi negli Stati Uniti), arrivando addirittura ad accusarlo di terrorismo: a dimostrare la colpevolezza sarebbe un’app scaricata sul cellulare del giocatore, ByLock, applicazione di messaggistica privata. Nel dicembre del 2017 Kanter viene condannato a 4 anni di carcere per diffamazione nei confronto del governo.

Le minacce di morte e la paura dell’arresto gli impediscono di prendere parte a una trasferta a Londra e a una partita in terra canadese. Ma il giocatore non retrocede neanche dopo che, in seguito alla sua condanna dell’attacco turco in Siria del Nord, alcuni uomini lo aggrediscono all’urlo di “traior”, traditore, fuori dalla moschea di Boston all’inizio di questo ottobre. Ciò che cercano di fare, è colpirlo alla base, tentando di farlo sentire isolato. Kanter non parla con la sua famiglia da circa quattro anni, dopo che, in seguito alle sue prime denunce, la polizia turca fa irruzione nella sua casa a Istanbul sequestrando a genitori e fratelli apparecchi elettronici e revocando loro tutti i passaporti.

Sui giornali turchi viene pubblicata una lettera firmata dal padre in cui la famiglia dichiara di rinnegare il figlio dissociandosi dalle sue posizioni politiche e sociali, lettera probabilmente imposta per una sopravvivenza non più scontata.

Il padre viene infatti condannato a 15 anni di carcere mentre ai fratelli viene impedito di trovare lavoro. Nel maggio del 2019 Kanter scompare dai social Nba in Turchia, le sue partite non vengono più trasmesse e vengono arrestati nel frattempo i ragazzi cui aveva regalato le sue scarpe da gioco o che lo avevano votato per l’All Star Game.

Sto bene, ma allo stesso tempo non mi sento a posto: capite cosa intendo? Io sono fortunato; la mia è una storia a lieto fine. Nella maggior parte dei casi invece, le cose non vanno così.

E le storie a lieto fine per i dissidenti i Turchia non sono numerose ultimamente. Kanter denuncia l’arresto di dottori, giudici, avvocati, insegnanti (tra cui appunto il padre), giornalisti e attivisti imprigionati solo per non essere strenui seguaci del presidente turco.

How can I stay silent? There are tens of thousands of people — including teachers, doctors, members of the judiciary and military, lawyers, bureaucrats, journalists, and activists — in prisons for years just because they’re not die-hard followers of Erdogan.

Il silenzio. E’ questo il principale nemico che il centro dei Celtics cerca di combattere ogni giorno, con ogni suo tweet, con ogni sua dichiarazione. «I’m MORE than an athlete», dice in uno dei suoi ultimi messaggi (tra l’altro all’interno di un attacco nei confronti del giocatore dei Los Angeles Lakers LeBron James in una discussione sulla manifestazioni che si stanno tenendo ad Hong Kong). Essere più di un atleta vuol dire rendersi conto del potere e della risonanza che i propri gesti e le proprie idee possono avere su un’ampia parte di popolazione. Una sola voce può mobilitarne altre che insieme faranno un rumore sufficiente a svegliare le coscienze e gli animi di molte persone, per non rimanere inerti là dove la giustizia e la libertà vengono messe in pericolo, per quanto quel “dove” possa essere distante.

Perché è la libertà di tutti che sotto questi colpi vacilla.

«Professional athletes have an enormous opportunity to be a source of inspiration for the younger generation, lead by example, and prove to them that as long as you stand up for what you believe in, everything is possible», dichiara in un articolo scritto in prima persona sul Boston Globe. «Provare che per tutto il tempo in cui ti alzerai per ciò in cui credi, tutto sarà possibile». È un invito a informarsi, ad alzarsi in piedi, in una lotta costante contro l’indifferenza e i soprusi.

Ciò che questo giocatore è costretto a sopportare ogni giorno, potrebbe abbattere anche le personalità più forti. Essere accusati di essere dei traditori, sentirsi sulle spalle il peso delle minacce di morte e la consapevolezza che persone, prendendoti come esempio, sfidano la realtà che le circonda in luoghi meno sicuri dei campi da basket, potrebbero portare a rinunciare, a lasciar perdere, perché potrebbe non valerne la pena. Ma non è solo in questa lotta. Ringrazia più volte il i compagni di squadra e i migliaia di messaggi di sostegno che gli arrivano ogni giorno, gli Stati Uniti in cui si sente al sicuro e le sue squadre che lo hanno accolto come una famiglia. “Welcome home” recitavano vari cartelli tra il pubblico al suo ritorno sui campi dopo le vicende indonesiane. E mai parole come “bentornato a casa” potrebbero avere più peso e significato come nella storia di Enes Kanter.

Arianna Locatelli
Da piccola cercavo l’origine del mio nome perché mi affascinava la storia che c’era dietro. Ancora oggi mi piace conoscere e scoprire storie di cui poi racconto e scrivo. Intanto corro, bevo caffè e pianifico viaggi.

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