
La Fondazione Prada di Milano ospiterà, fino al 13 gennaio 2020, la mostra temporanea “Il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori”, un progetto espositivo prodotto dal regista, sceneggiatore e produttore cinematografico Wes Anderson in collaborazione con sua moglie, l’illustratrice Juman Malouf.
Questa mostra nasce da un’idea dei curatori dei musei gemelli di Vienna, ovvero il Kunsthistorisches Museum e il Naturhistorisches Museum, che hanno messo a disposizione ai due artisti l’intera collezione dei musei, soprattutto le ereditate collezioni imperiali degli Asburgo: la sfida consisteva nel creare, in due mesi, un allestimento con un tema a piacere. Anderson e Malouf hanno impiegato due anni per selezionare le 538 opere d’arte, tra cui reperti naturali e manufatti realizzati in un arco temporale che va da 4,5 milioni di anni fa a oggi.
Il tema è il collezionismo, l’arte del collezionare. “La mostra è una riflessione sulle motivazioni che guidano l’atto di collezionare e sulle modalità con le quali una raccolta è custodita, presentata e vissuta”. Principale riferimento concettuale e visivo è il Castello di Ambras a Innsbruck: il Podium della Fondazione Prada (luogo della mostra temporanea), si divide in due grandi momenti, quello dell’interno del castello dove vengono esposte opere che hanno a che fare con l’uomo, e l’esterno, i giardini, dove invece la protagonista è la natura.
Il visitatore può imbattersi in oggetti provenienti, giusto per fare qualche esempio, da: Collezione di Antichità Greche e Romane, Museo Carrozze imperiali e del Guardaroba reale, Theater-museum Wien, Collezione Numismatica, Sezione Entomologica del Dipartimento di Zoologia, Collezione di Molluschi, e tanto altro (come si può vedere nel video realizzato proprio per la mostra).
Anderson e Maluf hanno, dunque, ordinato tutti questi oggetti in modo provocatorio: realizzando una esposizione interattiva con la finalità di modificare i canoni delle istituzioni museali e la classica relazione tra i curatori di un museo e il pubblico, i due artisti lanciano una sfida al visitatore che da passivo ospite diventa portatore di senso alla collezione. Tutto è lasciato alla libera interpretazione, non vi è alcun catalogo o foglietto che illustri il percorso, addirittura mancano le targhette accanto agli oggetti per cui non vi è neppure la minima indicazione di autore e anno dell’opera.
Ciò che importa è riportare il fruitore all’attività, al ragionamento, alla fantasia.
In alcune stanze, il filo rosso è più “semplice” da immaginare, giusto per dare qualche esempio: il materiale (legno), la grandezza (tutte miniature), il colore (il verde). Eppure, non è sempre così facile, anzi, è molto più frequente imbattersi di fronte a dei rebus. Sperando di stuzzicarvi la fantasia, eccone due.
Il primo: un alabastro raffigurante Bacco e Arianna, due fossili, due statuette di Adamo ed Eva. Il filo rosso dietro alla scelta di affiancare questi oggetti? La coppia, il doppio, l’unione.
Il secondo: un quadro che raffigura un anziano che insegue una giovane, un bastone, una custodia per la Torah, dei cosmetici maschili, una maschera che copre le imperfezioni del volto, e uno specchio.
Una possibile soluzione: il tempo.
Il tempo, in senso lato, è ciò che sta dietro a tutta la mostra: collezionare, dal punto di vista di Anderson e Malouf, è una modalità che l’uomo ricerca per tentare di sconfiggere lo spazio ed il tempo, caratteristiche prime della caducità della vita dell’individuo. La mostra si conclude infatti con l’esposizione dei due seguenti oggetti: il quadro di una vecchia (tempo), e una bussola (spazio).
Per maggiori informazioni controllare il sito ufficiale.
Articolo di Virginia Presi