In Nigeria, dal 2009, è in atto una guerra tra il gruppo terroristico islamico Boko Haram e l’esercito di Stato. Si contano approssimativamente trentamila morti e gli sfollati sono ormai più di due milioni. Donne e bambini non vengono risparmiati, né da una parte, né dall’altra. Non privo di innocenza sembra essere il governo, mai in grado di contrapporre strategie mirate, ma che si è servito di misure restrittive di diritti e libertà nei confronti della popolazione, esasperando ancor di più il clima di terrore e alimentando così la minaccia da debellare.
Il gruppo terroristico venne fondato nel 2002 ma conobbe una maggiore radicalizzazione nel 2009 dopo l’uccisione del suo Leader Ustaz Mohammed Yusuf, momento in cui scoppiò un aspro conflitto, ancora ben lontano dall’essere risolto, con l’esercito nigeriano. Il nome ufficiale di questa organizzazione potrebbe essere tradotto come: “gruppo della Gente della Sunna per la propaganda religiosa e per il Jihad”. A livello locale però le è stato dato l’ormai celebre soprannome Boko Haram, che in lingua Hausa significa “divieto dell’istruzione occidentale”; infatti “Boko” era l’appello dispregiativo con cui veniva indicato il sistema scolastico imposto dagli inglesi dopo la colonizzazione.
Dal 2009 al 2015 la strategia del gruppo terroristico ha avuto come obiettivo principale la popolazione locale, presa di mira con veri e propri attentati in pieno giorno; secondo i dati del global terrorism index solo tra il 2012 e il 2015 Boko Haram avrebbe ucciso più di dodici mila persone tra civili e militari. Spesso hanno fatto uso di donne e bambini utilizzati come esche e come bombe umane negli attentati terroristici. Secondo i dati emersi da un’inchiesta dell’associazione Human rights watch dal 2009 ad oggi sono stati 8000 i bambini-soldato reclutati da Boko Haram, costretti con la forza a scegliere tra la guerra e la morte.
Nel 2014 fu il rapimento di 276 studentesse (di cui 112 risultano ancora prigioniere o disperse) a suscitare una risposta internazionale e a porre, forse per la prima volta, Boko Haram sotto i riflettori dell’opinione pubblica mondiale.
La risonanza fu tale da indurre Michelle Obama a lanciare la campagna “Bring back our girls”. Fu probabilmente la ferocia di questo episodio a fare luce sui crimini di Boko Haram e sulla loro matrice terroristica. Il clamore mediatico portò ad azioni congiunte di più paesi e provocò un indebolimento della setta, con perdita di territori e conseguente divisione interna; ciò portò il presidente Buhari a dichiarare, erroneamente, Boko Haram sconfitto nel 2016.
In realtà, nonostante le divisioni interne, che fanno addirittura pensare che Boko Haram sia una sorta di “ franchising” a cui i vari gruppi terroristici si possono affiliare, il movimento sopravvisse. Dal 2016 si è notato tuttavia un drastico cambiamento negli obiettivi: se prima gli attacchi erano piu’ numerosi riguardavano principalmente la popolazione locale, ora sembrano più limitati e atti all’indebolimento dell’esercito.
Quindi se da un lato le morti causate dagli attentati in Nigeria hanno conosciuto una decrescita, dall’altro parlare di sconfitta o indebolimento del gruppo terroristico è riduttivo ed è motivo di dibattito. É di settembre l’inchiesta di Dionne Searcey del New York Times che ha documentato, al contrario, un incremento della violenza della setta islamista che sembra essere in possesso di nuove armi e droni per colpire l’esercito e la popolazione locale; piuttosto è l’esercito locale a lamentare la mancanza di un’adeguata fornitura di materiale bellico. Inoltre emerge che nella regione del Borno le incursioni ai danni di civili e militari sono all’ordine del giorno e l’esercito non sembra poter opporre alcuna sistematica resistenza; fanno riflettere le dichiarazioni di Dionne Searcey che accusa l’esercito nigeriano di corruzione, infatti il governo stanzierebbe annualmente una cifra dedicata alla lotta al terrorismo pari a 80 milioni di dollari americani; a questo punto verrebbe lecito domandarsi dove vadano a finire questi fondi visto che l’esercito sembra mancare di strumenti necessari allo svolgimento della guerra.
È sempre di settembre un report di Humans right watch che afferma che l’esercito nigeriano ha arrestato e detenuto migliaia di bambini, anche di cinque anni, per sospetto coinvolgimento con Boko Haram. Più precisamente tra gennaio 2013 e marzo 2019 sarebbero stati 3600 i minori coinvolti. L’organizzazione no-profit ha intervistato 32 di questi bambini e in tutti i casi affrontati l’arresto sarebbe stato arbitrario e nessuno di loro sarebbe stato portato davanti ad un giudice. Bambini che, dopo aver sopportato il rapimento e le sevizie da parte di Boko Haram, non trovano nulla di diverso da parte delle istituzioni che dovrebbero difenderli. L’esercito non essendo in grado di affrontare in maniera adeguata è costretto ad intraprendere queste azioni preventive che non fanno altro che ampliare il clima di terrore ed aumentare la distanza tra civili ed esercito; in questo modo diventa più difficile per l’esercito stesso debellare questa minaccia.
Non sono felice di Boko Haram perchè ha ucciso la mia gente. Inoltre non mi piace l’esercito perchè mi ha tenuto in prigione senza motivo. Non c’è stato nulla di buono nella mia esperienza di prigionia. I miei anni sono passati nella sofferenza
Queste parole sono di Abdulsalam, detenuto per due anni a Giwa a nord-est della Nigeria, e ci danno un’idea della realtà a cui vanno incontro molti cittadini nigeriani, intrappolati tra i fuochi di un conflitto senza vincitori; condannati allo stigma sociale e mai veramente in grado di tornare alla vita di prima.
Inoltre, proseguendo nella lettura del report, si evincono le condizioni pessime in cui vivevano i bambini imprigionati, spesso costretti ad assistere alla morte dei loro compagni per il caldo eccessivo e per le violenze, anche sessuali, perpetrate dai soldati.
La duplice sofferenza di questi bambini è solo un terribile aspetto di una guerra violenta ed ingiusta che ormai imperversa e tormenta la popolazione locale da più di dieci anni. Guerra in cui la sottile linea che divide bene e male sembra essere stata calpestata più volte, in cui tutto si mescola rendendo impossibile fornire un giudizio obiettivo sulle azioni compiute da una fazione e dall’altra.
Articolo di Michele Campiotti