Del: 15 Novembre 2019 Di: Lorenzo Rossi Commenti: 0
Ilva, l’acciaieria che mette a nudo l’Italia

Alla fine la bomba siderurgica è esplosa nella giornata di ieri. ArcelorMittal va verso la fermata.

È stato comunicato che tra dicembre e gennaio verranno spenti progressivamente tutti gli alti forni dell’ex Ilva di Taranto, fino al completo spegnimento alla fine di gennaio.

Rischia di finire così la tragedia dell’acciaio italiana. Le ultime settimane hanno visto una tesa evoluzione del caso. L’intera vicenda di questi giorni ruota intorno allo scudo penale, rimosso da un voto del Senato, a inizio Novembre, dopo le insistenze di 15 senatori del Movimento 5 Stelle, capeggiati dall’ex ministra per il sud Barbara Lezzi, eletta l’anno scorso con la promessa di chiudere l’Ex Ilva.

Tra i 168 voti a favore, anche i deputati del PD e di Italia Viva, coloro che avevano introdotto lo scudo nel 2015 durante il governo Renzi.

Adesso ArcelorMittal avrebbe deciso di recidere il contratto, viste le modifiche e l’impossibilità di trovare un accordo col governo. Che quella votazione sia dannosa per l’Italia è chiaro, ma va raccontata anche dal punto di vista politico e non solo industriale. E va raccontata anche la storia di questo “scudo penale”.

Tra il 2017 e il 2018 il gruppo multinazionale, designato alla gestione dell’acciaieria, aveva dichiarato che si sarebbe impegnato al risanamento ambientale e al rilancio del polo dell’acciaio. Secondo l’accordo, poteva non temere conseguenze penali per reati ambientali provocati dagli interventi di risanamento e dalle gestioni precedenti che, ricordiamolo, erano quelle dei Riva e dell’azionista pubblico a cui ha fatto capo per lungo tempo l’Ilva.

Infatti lo scudo, quando venne adottato nella scorsa legislatura, escludeva la responsabilità penale “in relazione alle condotte poste in essere in attuazione del Piano ambientale” da parte del commissario o dei futuri “affittuari o acquirenti”, sulla base dell’idea che altrimenti sarebbe stato impossibile trovare qualcuno disposto a investire nel necessario risanamento dell’impianto.

Altre voci ritengono che ArcelorMittal usi lo scudo penale come scusa per ritirarsi da un investimento che si è rivelato meno profittevole di quanto previsto.

Si ritiene che il polo perdeva tra gli uno e i due milioni di euro al giorno, a causa soprattutto di un mercato internazionale dell’acciaio peggiorato a partire dalla fine del 2018.

Se a suo tempo, prima di appiattirsi al volere del nuovo “alleato” di governo, il PD era favorevole alla cessione dell’impianto e alla prosecuzione della produzione, non lo era – e non lo èil Movimento 5 Stelle, che ora si trova da due anni al Mise e che da sempre sostiene la necessità di chiudere l’Ilva, o almeno di rivoluzionarne completamente i metodi di produzione.

Insomma l’ostinata battaglia anti-Ilva dei pentastellati di lotta e di governo ha prodotto, alla fine, i suoi frutti peggiori.

Togliere lo scudo penale ai vertici di Arcelor Mittal, scrive il segretario nazionale della Fim Cisl, Marco Bentivogli, è stato “un capolavoro di incompetenza e pavidità”. E ora, dice ancora Bentivogli, al mancato disinnesco della “bomba ambientale” si unisce anche la “bomba sociale”.

Ricordiamo che l’Ex Ilva conta 10.700 lavoratori di cui 8000 solo a Taranto. In più la società si era impegnata a fare investimenti ambientali per 1,1 miliardi e industriali per 1,2 miliardi.
Ovviamente c’è già chi parla di nazionalizzarla, ma a questo risponde il ministro dell’economia Gualtieri: “addossare allo Stato tutti i costi di un risanamento industriale è una pericolosa illusione”. Di certo ciò che non ha bisogno questo Paese è una seconda Alitalia, nel cui pozzo senza fondo sono già finiti 9 miliardi – e si stima che le perdite nel caso l’acciaieria chiuda i battenti siano addirittura superiori.

In poche parole, il classico pasticcio all’italiana. E ora, travolti dal fango delle proprie scelte, tutti corrono per cercare di mettere una pezza a questo delitto perfetto, economico e sociale.

Sebbene il governo giallorosso sia nato per dare una svolta ai disastri del periodo gialloverde e per evitare di conferire “pieni poteri” a un leader tanto influente quanto incapace, questo non evita che accadano tali episodi di profonda incompetenza. I 5 Stelle stanno comunque vincendo la guerra combattuta in nome dell’ideale della “decrescita felice”.

Quel che stupisce di più è che ci sia una parte assai ampia del Paese che sembra ormai abituata a queste situazioni e, anzi, sembra pronta a difendere con le unghie e coi denti gli squilibri sociali che l’economia stagnante di questi anni ha generato, in nome di un non ben precisato carattere “nazionale”, di rifiuto verso l’internazionalizzazione e gli investimenti provenienti da fuori l’Italia.

Altrimenti queste vicende non sarebbero spiegabili. Anche il PD, che doveva difendere le infrastrutture e favorire le imprese, alla fine consente il rinnovo di quegli orrori di Quota 100 e Reddito di Cittadinanza.

Il carniere di una coalizione dedita allo sviluppo e alla crescita economica sembra ancora pressoché vuoto.

Ora l’unica soluzione è convincere ArcelorMittal a restare, dato che prima di maggio non si staccherà definitivamente dal polo, o cercare al più presto un nuovo acquirente. 
La certezza, in caso contrario, è che chi pagherà il prezzo dell’improvvisazione e dell’incompetenza saranno ancora una volta quegli italiani, pochi, che pagano le tasse fino all’ultimo euro. Ciò è francamente inaccettabile.

Si scrive Ilva, si legge Italia.

La storia – anzi, tragedia – della più grande acciaieria d’Europa rappresenta il perfetto specchio del nostro Paese. 
Tra politica anti industriale, errori di una vecchia dirigenza e ambientalismo, fine a qualche voto in più, l’acciaieria ionica mette a nudo i più profondi problemi e le divisioni dello Stato.

Lorenzo Rossi
Politicamente critico. Fieramente europeista.
Racconto e cerco risposte in quel che accade nel mondo.

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