Del: 17 Novembre 2019 Di: Francesco Gallo Commenti: 0

Da molti anni, stando a quanto sostiene Giovanni Sartori nel suo libro Homo videns edito per Laterza, noi siamo i protagonisti di una rivoluzione multimediale che presenta molti aspetti, ma un comune denominatore, ossia il tele-vedere, che porta a un nostro video-vivere. L’Homo sapiens della parola scritta viene sostituito dall’Homo videns, l’uomo dell’immagine, la quale ormai sembra soppiantare la lettura. Nella società occidentale (ma anche asiatica, Cina in primis) milioni di bambini crescono guardando la TV, ancor prima di imparare a leggere e scrivere: sono i video-bambini, quasi una evoluzione biologica dell’essere umano, un tipo di uomo che vede senza capire.

La TV infatti, secondo l’autore, distrugge più sapere di quanto ne trasmetta.

Noi fummo classificati come Homo sapiens da Linneo nel 1758 nel suo Sistema della natura. Fisiologicamente l’Homo sapiens è pressoché uguale agli altri primati: non ha attributi speciali. Ciò che rende unico l’uomo è la sua capacità simbolica. Cassirer diceva che l’uomo è immerso in significati non solo fisico-materiali, ma anche simbolici, di cose che non si vedono ma che lui conosce (arte, religione, mitologia…). È dunque un animal symbolicum. Tutto il sapere si fonda sul linguaggio, ossia la capacità di comunicare con suoni e segni significanti, che significano qualcosa.Ci sono sia linguaggi verbali che linguaggi non verbali (come il linguaggio del cinema, della radio,dei media…).

Tuttavia il vero linguaggio dell’uomo è solo quello verbale, il linguaggio-parola. Così l’uomo oltre che simbolico è anche l’unico animale parlante, animal loquax, continuamente in colloquio con se stesso, e perciò è unico tra le specie animali. Ma anche gli animali comunicano e parlano. Certo, risponde Sartori, ma loro emettono solo dei segnali volti alla sopravvivenza fisica. Inoltre, l’animale ha un linguaggio che non discorre di se stesso, invece l’uomo sì; pensa, riflette, crea una rappresentazione di sé. Il linguaggio è legato al pensare, non al vedere. Anche un cieco parla, ma d’altro canto neanche i vedenti vedono ciò chepensano.

In effetti nessuno vede quello che pensa. Le civiltà infatti si sviluppano con e grazie alla scrittura, inventata circa 5000 anni fa, vale a direqualche secondo fa secondo la scala geologica: da una cultura orale si è passati alla parola scritta. Ma il vero salto avviene solo con la stampa (XV secolo): prima le culture erano tutte orali, e avere eleggere libri era privilegio di pochissimi. Si potrebbe dire che l’Homo sapiens è l’uomo di Gutenberg. Nel 1800 poi nacque il giornale, o quotidiano (stampato cioè ogni giorno); in seguito vennero inventati tutti quei prodotti comunicativi che annullano le distanze (telefono, radio, internet…). La radio è una voce in casa: comunica concetti con le parole.

È l’epoca dell’immediatezza delle comunicazioni.

La vera rottura avviene però con la TV, a metà anni ’50. La televisione (tele-vedere, vedere da lontano) si fonda sulle immagini, non più sulle parole. La parola diventa secondaria, mentre il tele-visore (lo spettatore) si fissa sulle immagini, dimenticando le parole. E così assistiamo alla splendida trasformazione dell’Homo sapiens (della parola scritta) in Homo videns. Ma mentre la parola scritta eleva l’uomo sugli altri animali (essendo animale simbolico), il vedere le immagini lo avvicina alle sue realtà ancestrali e primitive (animalesche). L’avvento della stampa e delle telecomunicazioni sono stati salutati con entusiasmo: erano i nuovi strumenti dell’umanità per diffondere cultura, informazioni, idee.

L’autore critica però nontanto lo strumento, ma il suo contenuto. La TV ci fa vedere tutto e subito, nelle nostre case, è vero; ma cosa ci fa vedere? Il punto di non ritorno della civiltà attuale sta nell’informarsi vedendo. La TV sbilancia la cultura dalla parola scritta o radiotrasmessa all’immagine visuale e visibile. Infatti se la parola si fa capire solo se capita, altrimenti è un segno qualsiasi, l’immagine si vede e basta: l’immagine non si vede in cinese, arabo o inglese; essa vale sempre. Se il video-bimbo cresce in questo modo resta sordo agli stimoli culturali, alle parole scritte, ai racconti letterari: i suoi unici stimoli saranno audiovisivi. Da adulto sarà impoverito e culturalmente atrofizzato.

Sartori insiste spiegando come non è vero che ogni progresso tecnologico sia davvero un progresso. Dipende cosa intendiamo per progresso.

Progredire può significare andare avanti, ossiaun aumento di qualcosa. Non è detto che questo aumento sia positivo (per esempio, il tumore cheprogredisce è un male). Negli studi storici, il progresso è positivo, è un miglioramento, un aumento in meglio, è crescita di civiltà. Ma bisogna capire che un miglioramento solo quantitativo non è diper sé un progresso. È solo un aumento di estensione, una maggiore grandezza e inclusione. Per questo un aumento quantitativo non migliora nulla se non è essenzialmente positivo.

Un progresso qualitativo invece, e qui sta la chiave di volta, può fare a meno del progresso quantitativo, ma non viceversa: la diffusione in estensione di qualcosa è positiva solo se contiene qualcosa di positivo. L’Homo sapiens deve tutto il suo sapere e il suo progredire alla capacità astrattiva, cioè la capacità di astrazione. Le parole infatti sono simboli che evocano altri concetti non subito visibili. Il nostro apparato conoscitivo e teoretico si compone di parole astratte che non hanno nessunriferimento reale, sensibile, tangibile; non è traducibile in immagini. Parole come povertà, giustizia, legalità, libertà, nazione, stato, sovranità, diritto e così via sono tutti concetti astratti, con cui però gestiamo la nostra realtà sociale, politica ed economica.

Ragioniamo per concetti, cioè pensiamo per concetti, entità invisibili e inesistenti. Alcune parole astratte sono traducibili in immagini, ma esse sono solo surrogati infedeli e impoveriti del concetto iniziale. La disoccupazione è rappresentata dal disoccupato, la felicità dalla faccia sorridente, e così via, ma queste immagini non spiegano perché esista la disoccupazione o l’intelligenza e come vada usata. Ergo tutto il sapere dell’Homo sapiens è racchiuso in un mundus intelligibilis, diverso dal mundus sensibilis della vita concreta. La TV però inverte il processo dal sensibile all’intelligibile e lo rovescia nel puro e semplice vedere. La televisione produce immagini ma cancella i concetti, e con essi, la nostra capacità di pensare (capire). La nostra capacità astraente cioè viene meno.

Così, l’Homo videns usa un linguaggio povero sia di parole, nel numero e nella ricchezza di significato, sia di capacità connotativa. La televisione eccelle sicuramente in una cosa: intrattiene, svaga, diverte. Coltiva cioè l’Homo ludens. La TV però forma e informa continuamente i bimbi e gli adulti, in primo luogo dando notizie di cosa accade nel mondo, qua e là, ma in primo piano ci sono le notizie politiche, le informazioni su come viviamo e dove. Per questo la video-politica oggi è fondamentale perchéinfluenza l’opinione e i risultati elettorali.

La TV induce ad opinare, e induce verso una certa opinione: in effetti la pilota.

Prima, con la parola scritta, l’opinione pubblica si formava dall’insieme di tante opinioni messe aconfronto col dialogo, che si plasmavano a vicenda, a cascata. Col linguaggio l’opinione non ècalata dall’alto, ma costruita insieme. La TV che soppianta il discorrere col vedere cambia le cose: ora c’è l’autorità dell’immagine; l’autorità nella visione stessa; l’occhio crede in ciò che vede, ergo le cose trasmesse in TV sono prese per vere, o come se fossero vere. È una autorità cognitiva forte. La TV non riflette l’opinione, la promuove e la ispira, mostrandola poi di ritorno agli spettatori. Il fatto è che ormai oggi, secondo l’autore, c’è in TV una produzione prolifica di pseudo-eventi, trivialità, e cose insignificanti che non hanno reale necessità di essere conosciute.

L’uomo della cultura scritta leggeva sui giornali 10 o 15 fatti di eventi significativi, nazionali einternazionali. L’uomo della cultura visuale vede e sente un sacco di notizie, che dopo lo lasciano con un pugno di mosche cognitivo: non ha imparato nulla; sa qualcosa di cui opinerà, ma tutto termina lì, e il ciclo ricomincia. L’immagine è dunque nemica dell’astrazione: vedere le notizie significa non capirle e non interiorizzarle. E così gli uomini vedenti sanno tutto di nulla e nulla di tutto; non c’è voglia di imparare o informarsi; non ci si appassiona; non si capiscono le cose e pertanto non le si cercano. Chi non è abituato al sapere, non lo cercherà, proprio come chi non conosce le regole degli scacchi difficilmente se ne può appassionare.

La stampa scritta alimentava interessi e curiosità che la videopolitica ha spento.

Sartori in questo libro può apparire (ed è apparso) antipopolare, a tratti elitista, o aristocratico se si vuol utilizzare spregiativamente una parola antiquata. Si possono non condividere le sue opinioni, ma è giusto riconoscergli il fatto di aver argomentato ogni sua posizione. Inoltre, il sociologo non rinnega strumenti come la televisione, ma auspica una sua integrazione con la cultura scritta, in modo da generare una cultura e una società ancora più potenti, alimentate dalla parola scritta da un lato e fortificate dall’immagine dall’altra.

Forse a volte ci si dovrebbe chiedere se per costruire la propria identità personale insieme agli altri serva l’emozione o la ragione. Sartori dice che con il pathos soltanto non si crea mai nulla di veramente stabile; ma con il logos si sono edificati leggi, città, stati e imperi. Come sempre la soluzione sembra stare nell’utilizzo equilibrato di queste due facoltà conoscitive.

Francesco Gallo
Mi arriccio la barba, affondo nei pensieri, a volte parlo con ironia. E nel frattempo studio filosofia.

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