Del: 19 Gennaio 2020 Di: Michele Pinto Commenti: 1

Qualcosa si muove a destra. Non c’è più solo Salvini con la sua campagna elettorale permanente e le sue polemiche. E nemmeno solo Berlusconi con un partito che perde i pezzi e una corte dei miracoli intorno a lui sempre più stretta. Da alcune settimane i giornali e i sondaggi non fanno che parlare di Giorgia Meloni e della notevole crescita di Fratelli d’Italia, che nelle ultime rilevazioni è costantemente sopra il 10 per cento.

Fratelli d’Italia non ha sempre navigato in acque tranquille. Il partito nacque nel dicembre del 2012 da un gruppo di fuoriusciti del Pdl in polemica con il governo Monti. Tra i fondatori c’erano gli ex Alleanza Nazionale La Russa e Meloni e il più moderato Guido Crosetto. La campagna elettorale che condusse alle elezioni del 2013 venne organizzata in poche settimane e il partito ottenne meno del 2 per cento. In breve tempo però Giorgia Meloni assunse un ruolo di primo piano e puntò a svecchiare l’immagine del neonato partito. In quel periodo gettò le basi una nuova destra in netta discontinuità con quella degli anni precedenti, disposta a scendere a compromessi pur di restare al governo e presentarsi come moderata e responsabile. A Sky Tg 24 dichiarò:

Anche a me è capitato nel Pdl di vergognarmi dei miei compagni di viaggio, di vergognarmi di quello che il partito faceva, della sua incapacità di capire che la crisi della politica è anche figlia di questa deriva oligarchica che i partiti hanno avuto.

Non era la prima volta che da destra si criticasse la storia del berlusconismo, dato che poco prima Gianfranco Fini — che di An era stato il leader e che aveva fortemente voluto il matrimonio con Berlusconi nel Pdl — aveva rotto con il Cavaliere. Però queste critiche e le continue prese di posizione significavano, in un momento in cui la Lega era ancora indipendentista, che c’era qualcosa di nuovo anche a destra.

Il processo di affermazione di questa linea è stato lungo e tortuoso e deve il suo successo principalmente alla vitalità e alla novità di Meloni.

Il punto fondamentale è stato proporre l’immagine di un partito fedele alle radici storiche della destra — e quindi nazionalismo, identità, famiglia e tradizione — e al contempo sposare le tendenze più moderne come il sovranismo. Alla lunga questa idea ha premiato, soprattutto perché Salvini non ha un’immagine così politicamente pura come quella di Meloni, che nella destra ha militato e della destra è il volto della continuità. Salvini da giovane era comunista e frequentava il Leoncavallo, poi è diventato indipendentista padano e secessionista. Solo alla fine si è scoperto nazionalista. Giorgia Meloni, ovviamente, no. È cresciuta alla Garbatella, quartiere romano storicamente di sinistra, e ha cominciato a fare politica a 15 anni con il Fronte della Gioventù. Ha fatto il ministro della Gioventù tra il 2008 e il 2011 e nel 2006 è stata la più giovane vice-presidente della storia della Camera.

Il suo successo deriva anche dall’incarnare un’idea nuova della destra. Nel sovranismo ci si trova perfettamente a suo agio. E negli ultimi anni ha stretto legami con Marine Le Pen, leader della destra francese, e con Viktor Orban, presidente nazionalista dell’Ungheria.

Nonostante i passi fatti Fratelli d’Italia si trova ora a un bivio, che pochi giorni fa Gianluca Passarelli su Huffington Post Italia ha descritto con precisione.

Giorgia Meloni punta a costruire una forza della destra repubblicana, una ridotta della Lega Nord (è così che si chiama), una costola in franchising del partito di Marine Le Pen (che si ispirò al Msi…), ovvero una sezione fuori tempo del Msi-An? Se mira a essere egemonica in quel campo, Meloni dovrebbe puntare alla prima opzione. Ma ciò comporta delle scelte, radicali. Non si può negoziare sui diritti civili, non si possono inseguire le blasfeme frasi di ex colonnelli aennini ebbri, non si possono improvvisare politiche estere e di difesa centrate sul nazionalismo, non si può sostenere l’atlantismo solo “perché c’è un certo tipo di repubblicano alla White House”.

La scelta insomma è se essere fino in fondo quello che Gianfranco Fini non è riuscito a essere, cioè il volto di una destra conservatrice ma civile, radicale ma repubblicana, o rassegnarsi a rincorrere sempre Salvini sul terreno delle grida spagnolesche, dei proclami e della violenza verbale.
A dira la verità già da un po’ di tempo Meloni marca le distanze dal leader leghista. Dalla sua contrarietà all’accordo con i Cinque Stelle ha fatto discendere una lunga serie di distinguo e di critiche, culminati con il plauso al discorso di fine anno di Mattarella, sobriamente definito «di alto profilo con obiettivi ambiziosi» e con un lungo post sulla crisi iraniana in cui spiegava che la questione «non merita tifoserie da stadio ma necessita di grande attenzione». Negli stessi frangenti Salvini definiva «melliflui, incolori, indolori, insapori» certi discorsi di fine d’anno e si schierava con Trump senza esitazione.

Spesso Meloni non è più moderata di Salvini. Semplicemente, negli ultimi mesi, sta proponendo un profilo più istituzionale e meno burrascoso, forse nella speranza di conquistare i voti degli elettori più moderati in fuga da Berlusconi verso l’astensione. In passato era certamente più precipitosa, come dimostra il celebre litigio che nel febbraio del 2018 ebbe con il direttore del Museo Egizio di Torino, accusato ingiustamente di favorire i cittadini arabi.

Non bisogna poi dimenticare che lo scorso autunno Report (Rai Tre) la accusò di utilizzare metodi spregiudicati sui social per manipolare il consenso, alterare il funzionamento degli algoritmi e diffondere il proprio messaggio. Di fronte a queste accuse Meloni si è difesa con durezza.

Resta il fatto della crescita vertiginosa di Fratelli d’Italia.

Nel 2013 prese circa 600 mila voti, mentre alle Europee del 2019 raggiunse 1 milione e 700 mila preferenze. Questo risultato non è dovuto solo alla congiuntura politica, che è sicuramente favorevole al partito. Come detto, infatti, Forza Italia si sta sgonfiando e Salvini è in difficoltà, perché vede allontanarsi le urne. In realtà c’è qualcosa di più profondo: Meloni raccoglie i frutti di una coerenza quasi decennale che spinge verso di lei gli elettori più influenzati dal sovranismo e dallo spostamento generalizzato a destra. Il programma di Fratelli d’Italia rispecchia enormemente quest’aria di sovranismo che si è diffusa in tutta Europa: politiche di difesa della famiglia naturale, no all’immigrazione e allo ius soli, blocchi navali contro i clandestini, potenziamento della Difesa (e quindi dell’Esercito), priorità a sicurezza e legalità. Un programma perfettamente appetibile per i tempi che corrono.

La scelta insomma è nelle sue mani. Essere fino in fondo, nei modi e nei contenuti, il futuro della destra, oppure vestire il ruolo della comparsa, imboccando la via del populismo urlato, inconcludente e rissoso di Salvini.

Michele Pinto
Studente di giurisprudenza. Quando non leggo, mi guardo intorno e mi faccio molte domande.

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