Del: 27 Febbraio 2020 Di: Matteo Lo Presti Commenti: 0

A distanza di quasi un mese, tra i fan serpeggia ancora l’incredulità che “BoJack Horseman”, dopo 6 anni di compagnia e demolizione della psiche degli spettatori, sia definitivamente terminata. Molti hanno ipotizzato (e ipotizzano tutt’ora) che la sesta stagione non possa realmente essere quella conclusiva, additandola come zoppa, con buchi narrativi tralasciati a causa della lite tra Netflix e il creatore della serie Raphael Bob-Waksberg.

Insomma, un prodotto che avrebbe potuto donare ancora più contenuti e colpi di scena ma che, a causa di una lite, non vedrà più la luce del sole.

Tuttavia, nonostante sia comprensibile questa polemica, è necessario aprire un dibattito a riguardo. La sesta stagione, infatti, ha messo gli spettatori davanti all’accettazione che, ormai, fosse tempo che le avventure di BoJack, Todd e tutti gli altri trovassero la parola “fine”. Avrebbe avuto davvero senso continuare la serie per chissà quante altre stagioni? Il modo migliore per comprendere ciò è capire la situazione esistenziale di ognuno dei protagonisti. Non solo nella conclusione, ma durante il proseguimento della serie in tutti questi anni, si è assistito ad un eterno ritorno nicciano, un cane che si morde la coda. L’epilogo della serie è stato volutamente interrotto in modo brusco, senza un “e vissero tutti felici e contenti” proprio perché non sarebbe stato possibile, e non avrebbe dato fino in fondo dignità e coerenza ad una serie estremamente introspettiva come BoJack Horseman.

Princess Carolyn, dal matrimonio con Judah, difficilmente riuscirà ad oscurare la sua personalità di donna in carriera e tutte le sue paturnie; il suo neo-marito, tra l’altro, è uno stacanovista incallito, incapace di manifestare emozioni, e che difficilmente riuscirà a dare una svolta epocale alla vita della gatta manager. Diane, nonostante la stesura a malincuore di un romanzo in cui non s’identifica, il nuovo matrimonio e il trasferimento in Texas, sarà continuamente accompagnata dal senso di inferiorità e dal suo passato, come negli episodi precedenti.

Il quadro rimarrebbe desolante anche per BoJack che, una volta uscito dal carcere, continuerebbe ad abbandonare progetti cinematografici e a cacciarsi nei guai, e Mr. Peanutbutter, il quale difficilmente, nonostante il sostegno psicologico, smetterebbe di simulare felicità e spensieratezza. Infine, Todd continuerebbe a proseguire nel suo compito di mediatore tra le parti, grazie alla sua empatia, e a condurre nuovi progetti che purtroppo troveranno, in un modo o nell’altro, la fine.

Gli spettatori, dopo 6 anni di intrattenimento, conoscono troppo bene i suoi protagonisti, per affermare che le cose possano prendere una piega diversa.

Qualche volta la vita fa schifo, ma continui a vivere.

In una frase viene riassunta la risposta a coloro che reclamano una settima, un’ottava, una nona stagione. Ossia, uno stato mentale proprio dei personaggi della serie, decisamente pessimista, in cui nonostante la crescita personale di ognuno, costellata da gioie, traumi, novità, riporta sempre ad un legame con loro stessi da cui non si possono staccare. Essere ancorati perennemente alla propria persona, con la possibilità sì di migliorare, ma nel tornare sempre al punto di partenza con l’arrivo di nuove sfide ed ostacoli, costituiti dall’incapacità perpetua nell’essere affrontati al 100% (la resa incondizionata dello spettatore alla possibilità che BoJack potesse cambiare, per esempio, è avvenuta nella casa di Angela Diaz durante l’episodio 6×14).

In conclusione, si potrebbe azzardare dicendo che gli sceneggiatori avrebbero potuto avere materiali per altre 20 stagioni, ma questo “eterno ritorno” avrebbe sempre e comunque contraddistinto la serie, rischiando di renderla ripetitiva. La questione definitiva della serie è: quanto c’è di vero nelle avventure dei protagonisti? Davvero non si è in grado di guarire da noi stessi completamente, nonostante gli sforzi e dissimulando?

Serie così introspettive lasciano interrogativi irrisolti, che tra i fan trovano più interpretazioni, nelle quali una linea unica è difficile da ipotizzare.

Esempio illustre di serie che lasci libera interpretazione allo spettatore è “Neon Genesis Evangelion”, il cui creatore, Hideaki Anno, affermò, come riportato nel libro “Anime Intersection” di Dani Cavallaro: «Evangelion è una sorta di puzzle. Qualsiasi persona può vederlo e darne una propria interpretazione. In altre parole, stiamo offrendo agli spettatori [la possibilità] di pensare da soli, in modo che ogni persona possa immaginare il proprio mondo.» (Dani Cavallaro, Anime Intersections.Tradition and Innovation in Theme and Technique, Jefferson, McFarland, 2007).

Vulcano ha inserito a dicembre “BoJack Horseman” tra le dieci serie più significative dello scorso decennio. Qui il link.

Matteo Lo Presti
Calciofilo e meme lord, il tutto innaffiato da Poretti 9 luppoli. Amo i tatuaggi, la filosofia morale, la Liguria e scrivere. Sogno l'autarchia e l'atarassia.

Commenta