Del: 26 Febbraio 2020 Di: Fabrizio Maroni Commenti: 0

Siamo così abituati ad avere qualcosa sotto i piedi da non pensare che il suolo è una risorsa limitata e spesso non rinnovabile.

Lo strato superficiale della crosta terrestre è composto da acqua, aria, minerali, materia organica e una gran varietà di organismi viventi.

Oltre al suo valore sociale, culturale e paesaggistico, il suolo è il punto in cui aria, terra e acqua interagiscono naturalmente fra loro.

Esso ci dà cibo e materie prime, ma ha anche un ruolo determinante nella regolazione del clima, nell’assorbimento di CO2, nel contenimento dei fenomeni idrologici e nella conservazione della biodiversità.

In Italia, ogni secondo vengono consumati 2 metri quadri di suolo: significa che, annualmente, un’area di 51 km² viene coperta di cemento, il quale impermeabilizza terreni agricoli, naturali e semi-naturali, e impedisce le loro funzioni per noi così importanti. Se diamo un’occhiata al consumo netto, cioè al bilancio fra aree consumate e aree ripristinate (che nella maggior parte dei casi risultano dal ripristino di cantieri, e quindi consumo di suolo reversibile), la situazione migliora poco.

Un’area di 48km quadrati, grande quanto il comune di Abbiategrasso, viene ogni anno sacrificata all’edilizia. I dati provengono dall’ultimo rapporto del Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (SNPA), istituito dalla legge 28 giugno 2016, n. 132.

Il problema è noto da tempo; negli ultimi anni, Unione Europea e Nazioni Unite hanno stabilito alcuni importanti obiettivi da raggiungere nel lungo termine: azzeramento del consumo di suolo netto entro il 2050 e l’allineamento del consumo alla crescita demografica entro il 2030.

In Italia, in effetti, al rallentamento della crescita demografica non è corrisposta una riduzione del tasso di consumo del suolo.

Come si può immaginare, in termini percentuali il consumo di suolo è maggiore nelle aree urbane (85,5% nelle zone con più di 10.000 ab/km²); ma gli incrementi più consistenti hanno riguardato le fasce con densità di popolazione fra 1000 e 5000 ab/km². In città si sono ridotti gli spazi utili per costruire e il consumo di suolo si è spostato verso le fasce periurbane, come l’hinterland milanese.

Da qui ha origine il fenomeno dell’urban sprawlcittà diffusa: un’espansione urbana affidata a un’edilizia incontrollata e disordinata che, come detto, non è stata giustificata da un effettivo incremento demografico.

In tutto ciò, l’ISTAT nel 2011 ha stimato che gli edifici non utilizzati in Italia sono più di 740.000, circa il 5,2% del totale. Una percentuale solo apparentemente esigua, essendo costituita principalmente da grandi costruzioni, con un potenziale rilevante: ex fabbriche, capannoni dismessi e parecchi edifici pubblici.

Le commissioni del Senato competenti in materia hanno ora in esame alcuni disegni di legge. Il consumo del suolo dev’essere affrontato con lungimiranza: occorre trovare nuovi modelli sostenibili di edilizia e di città.

Fabrizio Maroni
Studente di Scienze Politiche. Ogni mio sforzo è volto principalmente a non addormentarmi, esprimo pareri che nessuno ha chiesto.

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