Del: 2 Febbraio 2020 Di: Beatrice Balbinot Commenti: 1

Centroamerica, ultimi giorni dell’anno. Un gruppo di persone si unisce in cerchio nella chiesa di Marìn, piccola città del Nuevo Leon, nel nord-est del Messico. La Caravana de Madres Centroamericanas de Migrantes Desaparecidos si concede pochi istanti di riposo prima di proseguire il suo pellegrinaggio per ammirare la bellezza dell’abbraccio di una madre che ritrova i suoi figli. Lilian Alvarado de Romero aveva lasciato i suoi due bambini, di nove e sette anni, 31 anni fa per salvarli dalla guerra in Salvador che aveva già strappato alla vita diversi membri della loro fami-glia.

Trentuno anni dopo si sente, finalmente, chiamare “mamma” di nuovo.

La carovana riparte, molte altre mete la attendono, molti altri abbracci e altri sorrisi. Sono destini legati dallo stesso dolore e dalla stessa potente speranza quelli degli uomini e delle donne che ogni anno prendono parte alle carovane delle madri, attraversando i paesi dell’America centrale alla ricerca dei loro parenti caduti vittima nel corso degli anni degli sfruttamenti sessuali, del crimine organizzato, delle persecuzioni politiche e delle guerre. In 15 anni questo fenomeno, così toccante ma così poco conosciuto, ha reso possibile il ricongiungimento di 315 famiglie che erano state divise dall’emigrazione. Solo nell’ultimo anno la carovana ha portato a sei incontri come quello di Lilian: un padre ha potuto riabbracciare la figlia rinchiusa da 6 anni in un carcere di Reynosa per un crimine non commesso, un figlio partito adolescente dall’Honduras alla ricerca di un futuro migliore ha ritrovato la madre con cui non intratteneva rapporti da più di trent’anni, due sorelle si sono riunite a Tuxtla Gutiérrez, mentre la città di Coatzacoalcos è stata testimone del ri-incontro tra una madre e suo figlio.

Non esiste discrimine in questa marcia, tutti coloro che siano stati allontanati da un parente o da una persona cara sono i benvenuti a condividere il viaggio, ma è soprattutto dal coraggio e dalla determinazione delle madri che questa iniziativa prende ispirazione. Donne che redigono istanze, che parlano nelle piazze dove espongono le foto dei loro figli scomparsi, che si oppongono eroicamente a trame governative che le vogliono mute, in quanto emarginate e soprattutto in quanto donne.

“Siete le difensore della vita di fronte a un sistema di morte” è lo slogan che i membri della carovana ripetono nei centri che visitano, una dedica a donne coraggiose che non mollano mai.

Lo scorso dicembre la Carovana ha toccato 14 stati, portando con sé 38 familiari, una delegazione del Movimento Migrante Mesoamericano, sei organizzatori e diversi giornalisti. Sembrano piccole grandi investigatrici le madri che seguono accuratamente le rotte migratorie messicane, alloggiando negli ostelli che ricevono i loro figli, seguendo i binari del treno, arteria del flusso migratorio messicano, e rapportandosi a testa alta con la vasta rete politica che nel Messico profondo ancora osa appoggiare una migrazione sempre più affidata alla criminalità. Ma stare dalla parte dei senza diritti è un percorso ancora troppo spesso pericoloso, doloroso e difficile.

Lo sa bene Marta Sanchez, fondatrice del Movimento Migrante Mesoamericano, associazione che da 15 anni rende possibile la Carovana delle madri. In passato Marta ha sperimentato sulla sua pelle il dramma della divisione e della solitudine che porta con sé il fenomeno dell’emigrazione. Nata in Francia da padre sindacalista anarchico spagnolo rifugiatosi in Europa, ha dovuto separarsi dalla famiglia con l’arrivo di Hitler. Il padre, inserito nella lista nera dei ricercati da Franco, riesce a rifugiarsi in America grazie all’aiuto della Resistenza, mentre lei scappa in Spagna. La madre rimane in Francia agli arresti domiciliari e solo otto anni più tardi riesce a fuggire in Messicocon il passaporto della sorella. Marta la raggiunge due anni dopo, come orfana di guerra perché isuoi genitori risultavano deseparecidos. Lungi dall’essere intimorita dalle politiche sempre più spesso anti-migratorie dei grandi stati mondiali, oggi Marta, all’età di 79 anni, continua ad aiutare concretamente i migranti di tutto il Centroamerica, mentre la sua storia è un esempio di forza e coraggio che rinvigorisce la speranza di coloro che intraprendono ogni anno il cammino con le Carovane delle madri, alla ricerca del miracolo dell’incontro.

Storie terribili sono quelle che ci raccontano i migranti. Prima si partiva per cercare di migliorare le condizioni di vita, a partire dall’ultimo trimestre del 2013, la motivazione è cambiata: non più per migliorare, ma per salvarsi”. dice Marta ai microfoni di Antonio Cipriani e Barbara Monaco in un’intervista per la rivista Emergenze.

Parole che fanno riflettere chi ancora si ostina a non voler vedere il dramma che solca i paesi centroamericani e non solo, dove non per volontà ma per sopravvivenza figli e madri, sorelle e fratelli, amici e parenti sono costretti a separarsi e si vedono ogni giorno sottratto il diritto alla pace e alla serenità. Nel mese di gennaio 2020 la Carovana delle madri è ripartita verso nord, dove spera di potersi commuovere e farci commuovere con nuovi incontri.

Beatrice Balbinot
Mi chiamo Beatrice, ma preferisco Bea. Amo scrivere, dire la mia, avere ragione e mangiare tanti macarons.

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