Del: 26 Febbraio 2020 Di: Redazione Commenti: 0
L'ombra della mente. L'apatia

Il tentativo di questa rubrica è quello di essere utile per chiunque riconoscesse in sé o in qualcuno di vicino una forma di malessere. La sensibilizzazione è importante nel momento della comprensione e dell’azione, in quanto spinge alle opportune cure mirate.


Non sono solo le condizioni patologiche a destare sofferenza, occorre restituire dignità agli stati mentali che costituiscono le ombre della mente. 

Oggi si parlerà di apatia. L’apatia è un’assenza di emozione: un’incapacità di provare partecipazione e interesse nei confronti di ciò che sul piano affettivo esercita un riscontro.

È uno stato psicologico paradossale proprio perchè porta a non provare alcuno stato emotivo, apparentemente. 

Si conferma come assenza di motivazione, ma si distingue dalla depressione in quanto l’apatia non desta particolare sofferenza nel soggetto che la avverte; l’umore dell’apatico, quindi, non potrà mai essere definito come depresso, perchè non tenderà mai al malessere diffuso tipico di chi soffre di depressione. 

Inoltre, nel soggetto che soffre di depressione prevalgono tratti emotivi quali la vergogna e il senso di colpa per tale difficoltà avvertita in prima persona. 

Nel soggetto apatico è ben difficile che questa situazione venga riconosciuta, e quando avviene ciò la reazione è appunto poco empatica nei confronti di se stessi. La sensazione che può suscitare un riconoscimento di sé come apatico può essere un pruriginoso fastidio rispetto a quell’esistenza che non si sente come propria. 

L’apatia infatti si collega strettamente alla noia, altra condizione che, seppur diversa per le sfumature emotive da cui può essere connotata, accompagna il senso di vuoto tipico di questo stato psicologico. 

Il vuoto non è un grido di mancanza, quanto piuttosto un sospiro di arrendevolezza nei confronti di una vita che sembra aver mostrato tutto quanto può essere già stato dato; e se anche così non fosse, vi è la certezza che niente possa suscitare il minimo interesse che prima veniva riscosso. 

Sebbene la capacità di interazione con gli altri venga spesso mantenuta, comporta numerose conseguenze a livello relazionale, soprattutto qualora vengano messi in questione i presupposti del rapporto stesso, in vista di campanelli dall’allarme come il disinteresse e la non curanza. 

Ma il soggetto che risente della propria apatia non è consapevole della propria negligenza nei confronti dell’altro, poiché la prima negligenza che compie è proprio nei confronti di se stesso: ha smesso di sentire, non prova alcuna paura o tristezza nei confronti della propria condizione, che altrimenti non sarebbe definibile come tale. 

Eppure, questo fenomeno che sembra emergere dal nulla presenta più cause di natura psicologica, per escludere i casi di gravità psicopatologica in cui l’apatia è un sintomo correlato. 

Solitamente l’apatia è una mossa di difesa che il soggetto sviluppa per un dato periodo della propria vita, pertanto ha un inizio come ha una fine, per preservarsi da eventuali costi emotivi che non sarebbe pronto ad affrontare, sia per traumi precedenti, sia per circostanze attuali, che non permettono di cimentarsi nel vivo della propria vita emotiva. 

È una strategia, una forma di protezione nei confronti della propria persona, sebbene spesso possa sfociare in periodi vuoti e privi di alcun fervore di vita. Ma anche la noia può fungere da stimolo nel momento in cui permette di ragionare su ciò che realmente desidereremmo cambiare della nostra quotidianità. L’insofferenza nei confronti dei meccanismi abitudinari concede la possibilità di rompere gli schemi

Pertanto, occorre in primo luogo saper riconoscere la propria apatia, sebbene sia difficile, attraverso uno sforzo di astrazione rispetto quella che è la propria persona: ponendosi domande in merito ai propri obiettivi e interessi, rispetto a come si stia vivendo la propria interiorità e le proprie relazioni, si può scoprire quanto realmente si sta vivendo con partecipazione se stessi. 

In secondo luogo, accettare il vuoto che si prova è una strategia per non vivere questo periodo colpevolizzandosi: occorre evitare di compiere giudizi su se stessi troppo affrettati. Non si è pigri, si è solo spaventati. E non per questo si è vili, si è solo umani. 

Inoltre, bisogna ricordare come questo periodo abbia un inizio e abbia una fine. La fine verrà sancita non in un istante deciso dal soggetto stesso, ma dalla serie di eventi che distenderà il clima interiore in modo tale da renderlo più ben disposto nei confronti dell’esterno. 

Infine, è importante ricordare quanto la noia abbia la sua funzione propedeutica nei confronti del cambiamento. 

Esercizi di accettazione come la scrittura creativa del sé, oppure la messa in arte o musica dei propri stati d’animo può aiutare a conferire un senso. Magari non potrà riempire la voragine, ma almeno si può cercare di abitare un vuoto variopinto impegnati per esempio in una buona lettura con un sottofondo musicale.

Articolo di Chiara Dambrosio.

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