Del: 18 Marzo 2020 Di: Redazione Commenti: 0

Ma là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva.

F. HÖLDERLIN, Patmos

Introduzione

Cominciamo con un po’ di storia. Alla fine del primo conflitto mondiale, i vincitori smembrarono il vecchio Impero Ottomano e riconfigurarono il Medio Oriente dividendolo negli Stati che conosciamo oggi. I vittoriosi alleati occidentali  avevano previsto nel  Trattato di Sèvres  del 1920 anche la nascita di uno Stato curdo. Tuttavia, questa promessa fu annullata tre anni dopo, quando il  Trattato di Losanna  fissò i confini della moderna Turchia e non previde tale disposizione, lasciando i curdi nello status di minoranza nei rispettivi paesi: Turchia, Siria, Iraq e Iran. Da allora, i curdi si sono visti negare i diritti culturali e umani fondamentali da parte di questi Stati, i cui regimi autoritari non solo li hanno costantemente repressi, ma hanno anche sedato brutalmente le loro periodiche ribellioni. Ecco qualche dato che permette di avere una più chiara misura della situazione. Ad oggi il numero di curdi presenti nel  sud-ovest asiatico  è stimato di quasi 30 milioni, ai quali si aggiungono i curdi che vivono in Europa. Essi compongono circa il 18% della popolazione in  Turchia; il 15-20% in Iraq; il 10% in  Iran; il 9% in  Siria e l’1,3% in  Armenia. Questo fa di loro il quarto maggior gruppo etnico in tutto il  Medio Oriente dopo arabi,  persiani e  turchi, ed uno dei più grandi popoli al mondo ancora privi di unità nazionale. Nel 2012, però avviene una svolta, in piena guerra civile (Guerra civile siriana) , in una zona di guerriglia vessata e devastata da bombardamenti, viene finalmente a costituirsi il Rojava, (Sistema Federale Democratico della Siria del Nord) una regione autonoma de facto  nel nord-est della Siria, non ufficialmente riconosciuta da parte del governo siriano.

Confederalismo democratico

Se la resistenza curda ci appare così avvincente, forse è anche perché mostra chiaramente in che modo le idee possono ancora influenzare la realtà, spingendo le persone a mettere in gioco la loro esistenza. Abdullah Öcalan, fondatore nel 1977 del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) e ideologo del confederalismo democratico messo in atto in Rojava, è rinchiuso in un carcere di massima sicurezza in Turchia da più di vent’anni. Nei primi anni Duemila egli scopre il municipalismo libertario di Murray Bookchin, uno dei fondatori dell’ecologia sociale, da cui è profondamente influenzato. Secondo l’idea portata avanti negli scritti di Ocalan, i curdi devono mirare all’autonomia all’interno dei territori in cui vivono con l’obiettivo di democratizzarli, attuando un sistema di governo fondato sulla parità di genere ed un approccio di sviluppo ecosostenibile. La democrazia immaginata da Öcalan è concepita come un sistema strutturato dal basso verso l’alto, basato su assemblee cittadine e su consigli composti da delegati sempre revocabili che assicuri, a ogni livello, il corretto processo decisionale. All’interno di questo tipo di società, inoltre, la donna assume un ruolo assolutamente centrale, come lo stesso Ocalan afferma:

Le soluzioni a tutti i problemi del Medio Oriente dovrebbero muovere dalla condizione della donna […]. Il ruolo un tempo svolto dalla classe operaia deve ora essere assunto dalla sorellanza delle donne.

Öcalan è cosi diventato il fautore di una democrazia senza Stato fondata su tre pilastri: uguaglianza di genere, ecologia e democrazia, tre tematiche imprescindibili, snodi fondamentali che come egli ha intuito efficacemente sono i tre problemi fondamentali di quest’epoca. Nella visione del Partito dell’Unione Democratica curdo, inoltre, la società si organizza in una struttura municipale multiculturale che include non solo i curdi ma tutti i gruppi presenti sul territorio. È un modello per una Siria federale nel suo insieme, ma che può fungere come spunto fecondo anche per molti altri paesi nel mondo. La proposta caldeggiata è quella di una nuova politica per il ventunesimo secolo basata sul superamento dello Stato tradizionale e del sistema capitalistico occidentale, in un’ottica alternativa a quella vigente. In una fase storica come quella attuale, in cui le priorità ecologiche e quelle sociali sembrano essere entrate in un conflitto oggettivo, Öcalan e i suoi curdi ci invitano a immaginare una sintesi innovativa. La realtà del Rojava si presenta come un valido e valoroso baluardo in mezzo alla tempesta, un laboratorio di sperimentazione politica da cui molto si potrebbe apprendere. Sembra infatti che questa situazione possa donare speranza perfino al futuro dell’occidente, una nuova linfa che vivifichi le nostre ormai avvizzite democrazie. Ecco perché quella serra che è il Rojava, andrebbe curata e difesa ad ogni costo da coloro che cercano di schiacciarla. E qui mi riferisco soprattutto ai recenti sviluppi della guerra, in cui il governo turco di Erdogan ha dato inizio a diverse operazioni militari nella zone del cantone di Afrin contro le Forze Democratiche Siriane. Queste violente offensive, come quelle grottescamente denominate “Ramoscello d’Ulivo” e “Sorgente di Pace”, hanno come obiettivo ufficiale quello di impedire eventuali infiltrazioni in territorio turco, quando invece si stanno configurando come una vera propria invasione. Tutto ciò accade mentre l’amministrazione Trump  ha ordinato il ritiro delle truppe americane dalla Siria nordorientale (6 ottobre 2019), lasciando i propri alleati in balia degli attacchi dell‘aviazione turca cominciati il 9 ottobre dello stesso anno.

Elementi e apparato

Cerchiamo ora di inquadrare la questione da un altro punto di vista partendo da una metafora: immaginiamo di avere davanti ai nostri occhi una libreria, il nostro pensiero è subito indotto a credere che “lo stare insieme di quei libri” sia determinato dalla struttura che li contiene. Ma basterebbe osservare con maggiore attenzione per riuscire a notare che non è la libreria a fare l’essenza di quei libri. Essa è solo una cornice di quello stare insieme, l’esistenza di quello stare insieme non è determinato dalla libreria, ma da ogni singolo libro che sta lì. Fuor di metafora potremmo pensare le nostre librerie come a degli “apparati” sociali (società, nazioni, istituzioni, governi). Ecco, siamo soliti concepire questi apparati, di qualsiasi tipo essi siano, come ciò che è indispensabile al fine di tenere insieme gli uomini (senza una struttura i libri non avrebbero mai alcun ordine), e questo è corretto, il problema del ragionamento comune sta però nel considerare la relazione di unità delle parti come determinata dall’apparato. Un altro errore è quello di pensare all’apparato come qualcosa di immutabile ed indipendente rispetto ai suoi “abitanti”. L’apparato è nulla senza i singoli che lo compongono, che continuano ad adattarlo, a ripensarlo, a migliorarlo in base alle circostanze (una libreria smette di essere tale senza la presenza dei suoi libri). Sono gli individui l’essenza degli apparati, mentre questi ultimi sono solo il mezzo attraverso cui essi si organizzano. L’apparato stesso inizia a sgretolarsi se le singole unità non hanno coscienza di questo fatto. Non c’è struttura senza elementi, come non può esservi una democrazia senza cittadini. Consapevolezza è ciò che porta all’essere sia il singolo sia l’unità del molteplice; la consapevolezza in primo luogo di se stessi in quanto esseri umani creatori del sistema sociale, ed in secondo luogo in quanto cittadini consci del proprio ruolo all’interno dell’apparato. Allora, per noi esseri umani, se il pericolo più grande è la guerra, lo svilimento e l’umiliazione dell’individuo o l’autodistruzione attraverso l’annichilimento dell’ecosistema, la salvezza può invece consistere in processi di autoconsapevolezza e di sperimentazione, istanze che si rivelano con maggiore evidenza nei momenti di maggiore difficoltà. C’è bisogno di spirito di cambiamento, le nostre librerie hanno bisogno di essere ristrutturate per far fronte alle questioni impellenti del presente (femminismo, ecologia, democrazia), per lasciare spazio a nuovi libri, a nuove forme di catalogazione: a nuove soluzioni politiche. Ciò potrà avvenire solamente attraverso l’iniziativa dei singoli, attraverso una maggiore partecipazione consapevole e informata. Sembra importante perciò avere bene in mente che la responsabilità del cambiamento è nelle nostre mani, e che il sistema è solo uno schema di inquadramento che riceve il suo potere d’azione sulla realtà attraverso la delega conferitagli dai cittadini che lo legittimano, ma che perciò può sempre essere delegittimato.

Conclusione

In un saggio del 1976 Martin Heidegger parlando del destino dell’umanità citò un verso di Holderlin “Ma là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva.” Nella sua interpretazione del poeta, il filosofo tedesco esprimeva l’idea che più si è circondati da una crisi, più aumenta la possibilità che qualcuno finisca per rendersene conto, perché vi è esposto in maniera più violenta. L’occhio del ciclone ha una prospettiva atipica, inedita, e forse è perfino in grado di scorgere le cose con maggiore chiarezza. Dunque, attenzione quando gli apparati si sgretolano, certo, la sensazione può essere lo scoramento: la vista delle macerie non è mai rassicurante, ma non facciamoci prendere dal panico. I crolli possono anche essere funzionali. Non c’è miglior momento, infatti, per ricostruire di quello in cui le cose sono andate distrutte; specialmente dopo aver scoperto che perfino dove esiste il pericolo più grande, davanti alle porte dell’inferno in Siria, crescono silenziose come l’erba le idee in grado di salvare il mondo.

Articolo di Riccardo Piccolo

Immagine di copertina di Zerocalcare

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