
Il 28 febbraio 2020 sono stati assegnati i premi César, gli Oscar francesi, e quando la statuetta per la migliore regia è stata conferita per J’accuse a Roman Polanski, acclamato regista, condannato dalla giustizia americana per stupro nel 1977 nei confronti di una tredicenne, in sala è scoppiato il putiferio.
Adèle Haenel, insieme ad altre sue colleghe attrici, ha abbandonato la sala mostrando platealmente il suo disaccordo, già dichiarato giorni prima durante un’intervista al New York Times:
Premiare Polanski sarebbe sputare al volto di tutte le vittime, vorrebbe dire che non è poi così grave violentare le donne.
Questo è solo l’ultimo degli innumerevoli casi in cui un’opera viene accostata e paragonata al suo artista e soprattutto alla persona che c’è dietro.
Dopo l’ennesimo esempio la domanda da porsi è: un’opera va giudicata per la sua bellezza oppure in quanto prodotto di una persona, buona o cattiva che sia?
Da un lato i giudici dei César hanno giustamente premiato il regista, non l’uomo, dall’altro è stata la dimostrazione di come un sistema, spesso corrotto, non riesca sempre a garantire giustizia. Un uomo che merita la prigione non deve avere l’opportunità di continuare a lavorare e non merita dei riconoscimenti per i suoi film, poiché non dovrebbero nemmeno esistere.
La riflessione non deve essere fatta sulla sua vittoria, ma sulla sua candidatura, poiché prima di poter nuovamente lavorare è giusto che egli paghi per ciò che ha commesso.
L’arte, d’altro canto, si deve porre al di fuori di queste realtà e un’opera, una prova attoriale o una sinfonia, deve essere giudicata senza rifarsi a un contesto esterno. I crimini che possono aver commesso gli artisti devono essere risolti non durante una cerimonia, ma in sedi opportune, al di fuori dall’ambito artistico.
J’accuse, in Italia uscito con il titolo L’ufficiale e la spia, è un capolavoro di regia e costumi ed essendo candidato ha meritatamente vinto i rispettivi premi, tuttavia, il gesto di protesta avvenuto durante la sera dei César non deve essere trascurato e sminuito.
La rabbia e lo sfogo di Adèle, a sua volta vittima di stupro, non deve servire a screditare l’opera, ma l’artista. Il film andava premiato, ma Polanski non aveva il diritto morale e umano di dirigerlo. È uno dei tanti paradossi che non dovrebbero esistere, purtroppo ancora largamente diffusi e tenuti nascosti; questo però non deve negare al pubblico la possibilità di godere dello spettacolo artistico. Il caso del regista polacco è davvero difficile da analizzare, in quanto egli ha proseguito nel suo lavoro anche dopo la sentenza di colpevolezza.
Spesso, dunque, non sappiamo chi si sia davvero dietro un’opera e se egli abbia o meno commesso crimini.
Kevin Spacey nel 2000 ha vinto l’Oscar come miglior attore protagonista, ma le recenti accuse di stupro e molestie non tolgono nulla alla sua grandiosa interpretazione e alla successiva assegnazione del premio, anche in caso di colpevolezza. Il suo valore attoriale trascende e supera il valore umano, pertanto l’attenzione deve essere posta sulla questione artistica, mentre quella morale e legale sta procedendo nei luoghi adatti in cui verrà giudicato l’uomo e non il suo operato da attore.
L’artista e la sua opera sono indubbiamente legati da un rapporto quasi materno, molto stretto, tuttavia l’arte merita – fatta eccezione per alcuni casi limite – un posto al di fuori di qualsiasi circostanza, merita di essere vista e ascoltata con occhi e orecchie lontani da un mondo troppo imperfetto.
Si tratta di un argomento spinoso, soggettivo e con punti di vista differenti. L’arte è personale e ognuno la vive a suo modo.
In molti non sono più in grado di apprezzare le opere di artisti come Wagner, Miles Davis e Picasso, condizionati dal fatto che essi siano stati degli uomini spregevoli; altri, invece, riescono a separarle completamente dai comportamenti degli artisti, continuando a stimare i loro lavori. Si tratta di una scelta che non deve essere giudicata.