L’anniversario
Nel 2020 ricorre un anniversario particolarmente importante per una delle maggiori e più note istituzioni culturali del mondo contemporaneo: il prossimo 11 maggio, infatti, la Tate Modern di Londra festeggerà il ventennale dalla sua inaugurazione, da parte della Regina Elisabetta, e successiva apertura.
Tate Modern fa parte di Tate Group – insieme a Tate Britain, Tate Liverpool e Tate St. Ives –, la cui storia inizia nel 1889 quando l’industriale Henry Tate offre alla nazione britannica la possibilità di fruire della propria collezione d’arte, inaugurando così la prima Tate Gallery. Nel 1992 nasce l’idea di istituire uno spazio artistico dedicato all’arte moderna e contemporanea e, dunque, nel 1994 viene scelta come sede la Bankside Power Station, costruita tra il 1947 e il 1993 da Sir Giles Gilbert Scott e chiusa nel 1981. Nel 1995 allo studio svizzero di architetti Herzog & de Meuron viene commissionata la conversione dell’edificio in spazio espositivo. In considerazione del crescente numero di visitatori, nel 2009 si rende necessario incaricare Herzog & de Meuron di progettare l’ampliamento del complesso museale.
Per i festeggiamenti dell’anniversario, Frances Morris, direttrice di Tate Modern, annuncia che il museo aprirà le proprie porte per offrire ai visitatori la possibilità di vivere un’esperienza inedita e di approfondire la conoscenza di questa realtà: saranno organizzati tour dell’edificio, conferenze, presentazioni di artisti emergenti e celebrazioni di artisti che, vantando collaborazioni di lunga data con il museo, simboleggiano l’evoluzione dell’arte durante l’ultimo secolo. L’archivio racconterà la storia di Tate Modern attraverso film, immagini, oggetti, opere d’arte, racconti di chi ha partecipato alla nascita e crescita di questo universo culturale ed artistico.
Nelle sale di Tate Modern vengono spesso organizzate esposizioni comparative tra opere di artisti lontani nello spazio e nel tempo: in occasione di questo anniversario si potrà assistere al confronto tra Maman – il ragno di bronzo di Louise Bourgeois, primo lavoro esposto alla Tate nel 2000 – ed una performance di Lee Mingwei, intitolata Our Labyrinth. I temi centrali di entrambe le opere artistiche sono la fragilità, la vita domestica e la memoria.
Nella significativa data dell’11 maggio verrà inoltre inaugurata la retrospettiva “Yayoi Kusama: Infinity Mirrored Rooms”, dedicata all’artista giapponese Yayoi Kusama. Protagoniste della mostra – che durerà un intero anno – saranno le due stanze a specchi: Infinity Mirrored Room- Filled with the Brilliance of Life, già esposta alla Tate nel 2012, in occasione di un’altra retrospettiva dedicata a questa grande artista, e Chandelier of Grief. Queste note installazioni, che coinvolgono gli spettatori in una esperienza immersiva a 360 gradi, verranno accompagnate da opere giovanili, foto e filmati che ripercorrono la storia dell’artista.
Chi è Yayoi Kusama?
L’artista di Matsumoto, che a marzo dello scorso anno ha festeggiato i suoi 90 anni, inizia a dilettarsi in campo artistico e a sognare di diventare una pittrice sin dalla età di dieci anni: già da questo momento una costante nelle sue opere sono i punti – “quando li vedo i miei occhi sono più luminosi e ne sono sempre commossa”. Negli anni ’50 organizza, nella propria città natale, la sua mostra di esordio che non viene visitata da nessuno: il Giappone di quei tempi è un Paese conservatore e patriarcale. Yayoi entra nel mondo artistico compiendo una grande rivoluzione di genere: prima di lei, le donne non potevano organizzare esposizioni personali, ma solo partecipare a mostre collettive; persino le mercanti d’arte non avrebbero mai esposto opere di artiste donne.
Nel 1958 Yayoi si trasferisce a New York e, in quell’anno, realizza l’opera Pacific Oceans, punto d’origine della pittura degli “infinity nets”, punti e reti infiniti con cui crea un proprio mondo. L’artista inizia un percorso assistita da un analista freudiano: il complesso clima familiare in cui è cresciuta le ha causato dei traumi infantili, nei quali risiede l’origine di una reiterazione ossessiva dell’attenzione all’oggetto della sua pittura. Le emozioni dietro alle sue opere sono subconsce e psicosomatiche, legate a una nevrosi ossessivo-complusiva: Yayoi traspone in arte i propri problemi e l’accumulo è il risultato dell’ossessione.
Dal 1963 inizia a produrre in modo prolifico la sua serie di Mirror/Infinity rooms: si tratta di stanze realizzate con pareti a specchio, che contengono serie di neon colorati appesi a differenti altezze di fronte allo spettatore. L’osservatore vede le luci riflesse e queste creano l’illusione di uno spazio infinito. Negli anni successivi l’artista sperimenta ulteriormente questa tecnica, allargando la misura della stanza e aggiungendo anche l’esperienza sonora. Nel 1966, alla Castellane Gallery, presenta Peep Show: una stanza ottagonale con aperture predisposte per infilare la testa ed osservare l’interno dall’esterno; sul soffitto sono montate luci che creano effetti e suggestioni. Il concetto di infinito assume un valore completamente differente a partire dagli anni ’60: con le scoperte spaziali le persone acquisiscono una maggior consapevolezza dell’infinito. Kusama è la prima artista ad aver realizzato un ambiente a specchi e ad aver cambiato radicalmente la concezione dello spazio artistico: durante il Rinascimento molti artisti si appassionarono alla prospettiva e all’infinito e lo spettatore doveva rendersi artefice della riuscita dello spazio illusionista, consapevole del fatto che l’artista giocasse con lo spazio; con Kusama è l’artista a diventare artefice.
Nel 1966 Yayoi, senza essere stata invitata, installa davanti al padiglione italiano della Biennale di Venezia 1500 sfere a specchio, realizzate in una fabbrica di Firenze. L’installazione si chiama Narcissus garden ed è accompagnata da cartelli con la scritta “Potete comprare il vostro narcisismo”: l’artista vende a poco prezzo le sfere a chiunque. In quell’occasione sarà ripetutamente invitata ad allontanarsi ma, qualche anno dopo, alla Biennale del 1989, verrà invitata a rappresentare il Giappone: sarà la prima donna giapponese ad ottenere una personale alla Biennale.
In Kusama’s self obliteration, film sperimentale realizzato nel 1968, l’artista si copre di puntini fino a sparire completamente: secondo il suo pensiero l’universo è pieno del nulla, in continua espansione e autodistruzione e, come una goccia che cade nell’acqua, lei sparisce completamente nell’universo. Questo film si è aggiudicato un premio al IV Concorso Internazionale Sperimentale di Cinematografia in Belgio.
La sua grande capacità artistica viene riscoperta dal mondo contemporaneo a partire dagli anni ’90 e anche in patria la sua fama è ora riconosciuta: al Matsumoto City Museum of Art sono conservate numerose opere dell’artista. L’arte di Yayoi Kusama entra agevolmente in comunicazione con il mondo attuale, vivendo in stretto rapporto anche con i social media, parte integrante del suo successo. Dal 2013, oltre 5 milioni di persone hanno visitato le sue opere in diversi musei: è considerata l’artista vivente di maggior successo.
Our earth is only one polka dot among a million stars in the cosmos. Polka dots are a way to infinity. When we obliterate nature and our bodies with polka dots, we become part of the unity of our environment.