Del: 16 Aprile 2020 Di: Redazione Commenti: 0

Questa rubrica accompagna i lettori di Vulcano lungo il cammino delle primarie dei Democratici per la scelta del candidato da opporre a Trump il prossimo novembre. Dalla prossima puntata la rubrica esce ogni mese, mentre ritornerà nel suo formato quindicinale a settembre in vista delle elezioni.


Nell’ultima settimana le primarie democratiche americane hanno subito due decisive svolte. Prima, l’8 aprile,  il senatore Bernie Sanders si è ritirato dalla corsa attraverso la rituale formula della “sospensione” della campagna. Poi, lunedì 13, Sanders e l’ex vice-presidente Biden hanno tenuto un live streaming insieme, allo scopo di annunciare il sostegno del senatore all’ultimo candidato rimasto in campo.

Nel corso del live, che ha sostituito il più tradizionale comizio congiunto (naturalmente impossibile a causa della pandemia di Covid-19), il senatore Sanders ha spazzato il campo dai dubbi e dalle presunte reticenze sulla possibilità che sostenesse Biden. Ha detto: “Noi abbiamo bisogno di te alla Casa Bianca e io farò tutto quanto è in mio potere perché questo accada”. Sanders ha deciso dunque di schierarsi pienamente al fianco di Biden, a differenza di quanto aveva fatto nel 2016, quando aveva dato filo da torcere fino all’ultimo a Hillary Clinton. Da una parte i due leader democratici non possono ignorare la drammatica situazione che gli Stati Uniti stanno vivendo a causa della pandemia, con centinaia di migliaia di contagiati e decine di migliaia di morti. Dall’altra, non è ignota la stima reciproca che lega Sanders a Biden, che ha portato il senatore ad apprezzare la calma con cui Biden ha accolto i numerosi successi delle ultime settimane e l’assenza di fretta nel richiedere il ritiro di Sanders.

Sanders fa l’endorsement a Biden.

Un problema di fondo però c’è ed è la differenza tra i programmi dei due politici. Sanders propone da anni un’agenda radicale e iper progressista, caratterizzata da vere e proprie rivoluzioni, come nel campo della sanità pubblica o in quello dell’ambiente. I suoi sostenitori sono molto radicalizzati e si teme possano accogliere in modo negativo il sostegno al paludato Biden. Per questo la scelta di Sanders appare anche una mossa strategica: cercare di concertare un’agenda programmatica comune che spinga Biden a sposare alcune istanze più radicale, in modo da arrivare alla Convention di questa estate, che nel frattempo è già stata rinviata ad agosto, potendo vantare una notevole influenza sul programma del Partito democratico.

Dal canto suo Biden ha adesso la necessità di consolidare la sua “coalizione”, cercando di integrare le proposte più radicali dell’ala socialista. Non sarà facile. Ma l’alternativa per Sanders era continuare la campagna elettorale in condizioni assurde (senza comizi né finanziamenti) e, come lui stesso ha detto al momento di annunciare il ritiro, interferire nel già complicato lavoro delle istituzioni statunitensi nel contrasto alla pandemia.

Sanders ha preferito sacrificare la sua candidatura nel tentativo di salvare alcune sue proposte.

Salvare le istanze più progressiste e inserirle nell’agenda del Partito significa, di conseguenza, mantenere e preservare il legame fiduciario con i suoi sostenitori, che rischia di spezzarsi di fronte a quest’ultima svolta. Un ulteriore elemento di realtà è il susseguirsi di sconfitte che Sanders ha affrontato negli ultimi mesi. Nel Wisconsin – l’ultimo stato a votare e anche l’unico nell’ultimo periodo, vista la raffica di sospensioni e rinvii a causa del Coronavirus – Biden ha stravinto prendendo il doppio dei suoi voti. Mercoledì 15 inoltre anche senatrice Elizabeth Warren ha finalmente espresso il suo sostegno all’ex vice-presidente, completando i riposizionamenti di tutti gli ex candidati democratici. Per questo motivo la situazione dei delegati alla Convention, anche senza il voto di molti stati, appare chiara e delineata.

Fonte: New York Times.

A questo punto Joe Biden, ormai definito anche dalla stampa presumptive Democratic nominee for president, ha la necessità si presentarsi come l’alternativa a Trump: la situazione di estrema emergenza che gli Stati Uniti e il mondo stanno vivendo è, in questo senso, il banco di prova perfetto. Affermare infatti un approccio alternativo a quello dell’amministrazione Trump e proporre un paradigma differente, possibile, disponibile, può avvicinare molti elettori alla sua campagna. Domenica 12, per esempio, Biden ha scelto le colonne del più importante giornale americano per proporre una serie di punti sulla gestione dell’emergenza e la riapertura che ne seguirà. Si propone dunque come opzione credibile e affidabile per la presidenza. Naturalmente Biden è forse il politico americano più favorito da questo punto di vista.

Trentasei anni in Senato e otto alla vice-presidenza ne fanno quello con la maggiore e più prestigiosa esperienza istituzionale.

Uno dei nodi da sciogliere per Biden è quello del candidato alla vicepresidenza. Non è facile, infatti, come hanno sottolineato alcuni giornali, trovare qualcuno che sia ciò che lui è stato per Obama: un sostegno, un collaboratore e, infine, anche un amico. Martedì 14, del resto, anche Obama ha annunciato con un appassionato intervento il sostegno al suo ex vice. Naturalmente Biden deve scegliere qualcuno che possa compensare i difetti della sua candidatura: uomo bianco, quasi ottantenne, puro establishment. E dunque si vocifera della possibilità che possa scegliere una donna, preferibilmente nera, in grado di rafforzare il sostegno degli afroamericani, per la verità già notevole, alla sua candidatura. Tra i papabili la senatrice Kamala Harris o le ex candidate Amy Klobuchar o Elizabeth Warren.

Negli ultimi giorni, però, questa dinamica è stata in parte interrotta dall’emergenza Coronavirus: molti governatori democratici infatti, stanno emergendo come figure autorevoli e potenzialmente spendibili anche in ottica nazionale. Tra loro il governatore dello stato di New York Andrew Cuomo e la governatrice del Michigan Gretchen Whitmer.

Il presidente Trump, nel frattempo, è alle prese con la crisi più complicata della sua presidenza. Mentre si moltiplicano le critiche alla sua gestione dell’emergenza causata dal contagio – considerata frammentaria, ritardata, incompleta – ha deciso di difendersi direttamente durante il briefing quotidiano nella sala stampa della Casa Bianca. Lunedì 13 ha infatti rivendicato le sue scelte e ha sostenuto di avere il pieno controllo dell’amministrazione, che pure sembra attraversata da tensioni, rivalità e inadeguatezze. Ha inoltre assicurato di non voler licenziare il principale consulente del governo, Anthony Fauci, nonostante i continui litigi e le incomprensioni emersi nelle ultime settimane. La conferenza stampa è stata burrascosa e ha aperto la strada ad ulteriori critiche.

Articolo di Michele Pinto

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