Del: 20 Aprile 2020 Di: Arianna Locatelli Commenti: 0
"Straight voice” di Yasuyoshi Chiba

Niente cerimonia di premiazione per l’edizione 2020 del World Press Photo, il più importante premio di fotogiornalismo al mondo, assegnato annualmente in aprile ad Amsterdam. I vincitori della varie categorie sono stati infatti annunciati via social il 16 in serata a causa dell’emergenza Covid-19.

Sono stati migliaia i fotografi che hanno sottoposto i loro scatti alla valutazione di un giuria internazionale che ha esaminato un totale di quasi 74mila immagini. Dei 125 fotografi in gara, 44 sono arrivati in finale suddivisi tra le varie categorie, provenienti da 24 paesi, tra cui anche sei italiani.

Il titolo di vincitore per la categoria di Miglior foto dell’anno di questa 63esima edizione è andato al fotografo giapponese Yasuyoshi Chiba, con il suo incredibile scatto Straight voice.

Khartum, Sudan. Verso la fine del 2018 varie città di uno degli stati più poveri del centro Africa insorgono protestando contro la crisi economica e la cancellazione dei sussidi. Queste manifestazioni in breve si trasformano in una protesta contro la trentennale dittatura del presidente Omar al-Bashir, salito al potere nel 1989 con un colpo di stato.

Lo scorso aprile il dittatore viene finalmente deposto e al potere sale un governo militare provvisorio, con la promessa iniziale di comporre una delegazione mista di militari e civili che, dopo un periodo di tre anni, tempo minimo richiesto per una transizione verso la democrazia, avrebbe portato il paese a delle lezioni libere democratiche.

Infrangendo però gli accordi con l’opposizione, il Governo Militare Transitorio rifiuta in maggio la composizione della delegazione, imponendo delle nuove elezioni entro nove mesi. Alle rivolte del movimento pro-democrazia risponde anzi con violenza e brutalità, fino ad arrivare ad una vera e propria repressione  il 3 giugno scorso, quando i para militari con a capo Hemedi, aprono il fuoco sulla folla di civili durante un sit-in.

Ed è proprio durante una delle manifestazioni svoltesi quest’estate nella capitale del Sudan che il fotografo Yasuyoshi Chiba il 19 giugno cattura un’immagine di sorprendente intensità: nel buio di un black-out, un ragazzo circondato dai fasci di luce dei cellulari, si erge in mezzo alla folla mentre recita poesie di protesta con una mano al petto, contratto nello sforzo di far risuonare la sua voce sopra il frastuono della folla.

"Straight voice” di Yasuyoshi Chiba
© Yasuyoshi Chiba, Giappone, Agence France-Presse Straight Voice.

«Soprattutto nel periodo in cui viviamo, pieno di violenza e conflitti, è importante avere un’immagine che ispiri le persone» ha affermato il presidente della giuria di questa edizione, il sudafricano Lekgetho Makola.

Quella voce sembra proprio di udirla, anche se fissata sulla carta, bloccata nel momento in cui si riversa su chi è in ascolto: urla al mondo rabbia e frustrazione, ma si innalza come simbolo di speranza e gioventù, risposta pacifica contro un governo che usa la violenza per soffocare proprio le “straight voices” come quella del giovane sudanese.

In un periodo di lotte, di guerre e di scontri che continuano a susseguirsi sul nostro pianeta e di cui, forse, con l’emergenza Covid, ci si dimentica, lo scatto di Yasuyoshi Chiba diventa una fondamentale testimonianza.

Nel 2019 anche il popolo algerino insorge dopo l’abdicazione del presidente Bouteflika con numerose proteste a favore della democrazia. Ed è con una serie di trenta scatti in bianco e nero proprio sulla genesi ribellione algerina che il fotografo francese Romain Laurendeau si è aggiudicato il premio gemello Storia dell’anno con Kho, the Genesis of a revolt.

Una fotografia in particolare rievoca incredibilmente il quadro La libertà che guida il popolo di Delcroix, quasi per ricordarci che la democrazia e la libertà sono due diritti per cui si combatte da secoli e che in molti stati non sono ancora stati raggiunti.  

"Kho, the Genesis of a revolt" di Romain Laurendeau
Kho, the Genesis of a Revolt (2) © Romain Laurendeau, France

Bilancio positivo anche per gli italiani in questa sessantatreesima edizione del World Press Photo: tra i sei in gara si aggiudicano infatti due primi premi Lorenzo Tugnoli e Luca Locatelli, il primo nella categoria Contemporary Issues, Storie con The longest war, uno studio sulla guerra in Afghanistan; il secondo nella categoria Ambiente, Storie con The end of trash – Circular economy, sull’economia circolare dei rifiuti.

Anche in questa particolare edizione, il fotogiornalismo si dimostra uno dei mezzi di informazione e presa di coscienza più efficaci di cui si dispone. “Carta canta” dice un proverbio popolare e sicuramente tutti gli scatti passati in rassegna lo testimoniano.

Soprattutto in questo periodo, il World Press Photo prova come ci siano sempre voci da ascoltare e realtà da conoscere, anche se lontane dalla nostra.

La battaglia contro il Covid ha mostrato un mondo più piccolo di quanto ci si aspettasse: è forse giunto il momento di prendere atto del fatto che battaglie che non ci appartengono potrebbero riguardarci più da vicino del previsto. Ora più che mai l’informazione è fondamentale, per ricordarci che il mondo non finisce mai fuori dalla porta delle nostre case.

Arianna Locatelli
Da piccola cercavo l’origine del mio nome perché mi affascinava la storia che c’era dietro. Ancora oggi mi piace conoscere e scoprire storie di cui poi racconto e scrivo. Intanto corro, bevo caffè e pianifico viaggi.

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