
21 aprile 1966: un gruppo di quattro uomini cammina per le strade del Greenwich Village, a Manhattan. Sembrano innocui ma sono scortati da un gruppo di reporter e si stanno dirigendo decisi verso un bar, il Village Hall. Sono alcuni dei membri più in vista della Mattachine Society di New York, una delle prime organizzazioni per i diritti degli omosessuali negli Stati Uniti. Quando trovano il Village Hall chiuso, i quattro optano per altri locali, l’Howard Johnson’s e il Waikiki, nei quali vengono serviti; ma, insoddisfatti, cercano un altro bar e scelgono il Julius, il noto locale all’angolo tra la decima e Waverly Place.
Il barista sta già preparando i bicchieri quando Dick Leitsch,Craig Rodwell, Randy Wicker e John Timmons dichiarano, come avevano fatto nei bar precedenti, di essere omosessuali: «We are homosexuals» dicono, «we are orderly, we intend to remain orderly, and we are asking for service». Fu solo il primo passo dell’azione denominata Sip in.
Immediatamente una mano sigilla i bicchieri mentre Fred W. McDarrah scatta una delle foto più famose legate ai movimenti di liberazione omosessuale.

I quattro hanno finalmente ottenuto ciò che desiderano: la prova di una discriminazione tangibile e continua, scritta nero su bianco in una norma della State Liquor Authority di New York sulla vendita degli alcolici ai “disorderly”, di cui le persone omosessuali facevano parte. Grazie a quella prova era disponibile un precedente.
Registrata l’ennesima negazione dei diritti, avrebbero avuto modo di discuterne in tribunale dato che era stata violata la costituzione americana. La comunità gay aveva vinto la sua prima battaglia per i diritti ma non di certo la guerra contro ottusità e ignoranza, come attestano i celebri moti di Stonewall del 1969, che segnano simbolicamente la nascita del movimento di liberazione gay moderno in tutto il mondo, seguito dalla creazione di varie organizzazioni. In Italia bisognerà aspettare il 1971 per la fondazione di Fuori!, la prima associazione del movimento di liberazione omosessuale italiano, istituita a Torino da Angelo Pezzani e altri attivisti.
L’omosessualità è stata considerata un disturbo sociopatico della personalità, un disturbo mentale, una deviazione patologica della sfera sessuale, un reato. Solo nella seconda metà del secolo scorso l’omosessualità ha iniziato a non essere più considerata tale fino alla sua scomparsa dall’elenco dell’International Statistical Classification of Diseases, Injuries and Causes of Death (ICD) il 17 maggio 1990.
È stato Louis-George Tin, scrittore e attivista francese, a proporne l’istituzione come data simbolo della Giornata Internazionale contro l’Omofobia nel 2004, per scongiurare il ritorno di soprusi e violenze. Nel 2009 viene aggiunta la dicitura “transfobia” e nel 2015 la “bifobia“, segnali che rispecchiano mutamenti d’animo e di sensibilità all’interno della stessa comunità LGBT e non. La Giornata Internazionale contro l’omofobia intanto era già stata riconosciuta ufficialmente dall’Unione europea e dall’ONU dal 2007.
Nonostante la situazione sia migliorata negli ultimi anni, la lotta contro questo fenomeno non è ancora terminata: discriminazioni basate su identità di genere e orientamento sessuale si verificano sistematicamente sfociando in episodi di violenza.
Da un’indagine ISTAT del 2011 in Italia il 40,3% degli omosessuali/bisessuali dichiara di essere stato discriminato, contro il 27,9% degli eterosessuali; Amnesty International in un’indagine del 2018 sulle discriminazioni di orientamento sessuale osserva come l’86% degli italiani pensa che le persone omosessuali debbano avere gli stessi diritti di chiunque altro – dato in aumento rispetto al 72% di una ricerca del 2016 – aggiungendo tuttavia come per le coppie omosessuali ci sia ancora tanto da fare (un italiano su cinque ritiene che le coppie omosessuali siano ancora vittime di omofobia).
A gennaio 2019, il Parlamento europeo ha richiamato gli Stati membri ad adottare leggi e politiche di contrasto all’omofobia e transfobia. A differenza di altri Paesi in cui da tempo sono state approvate leggi contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia, in Italia è da più di vent’anni che se ne parla, e solo negli ultimi anni sono state presentate quattro proposte senza però che si sia giunti a una conclusione. C’è chi si oppone all’approvazione di una legge in quanto ritenuta superflua: The Vision osserva tuttavia che «affermare che una legge contro l’omofobia non sia necessaria, in Italia come nel resto del mondo, significa negare che la comunità LGBTQ+ sia ancora vittima di discriminazioni, ritorsioni, violenze e che tutti coloro che ne fanno parte possano vivere una vita piena, che goda di tutti i diritti concessi agli altri».
Significherebbe negare affermazioni uscite durante questi mesi di pandemia, secondo le quali il Covid-19 è da considerarsi una punizione divina nei confronti della comunità LGBTQ+. Significherebbe negare i casi di odio e violenza avvenuti solo nell’ultima settimana, come quello di Roma, in cui due fratelli sono stati minacciati da un vicino al grido di «ecco due froci ora vi stacco la testa, avete contagiato tutta Roma», o l’aggressione subita dall’influencer Iconize a Milano.
Sono passati 30 anni da quando l’omosessualità è uscita dall’elenco delle voci del CID ma questa giornata è ancora necessaria per ribadire che l’odio e la violenza verso altri esseri umani sono ingiustificabili e da condannare. Oltre a questo, la giornata testimonia quanto nel nostro Paese e in altri Paesi del mondo certe questioni siano relegate ad argomenti di serie b, da risolvere quando ce ne sarà tempo e se davvero ce ne sarà. Sono necessarie leggi contro l’omofobia ed è ancor più necessario riconoscere la stessa dignità a cittadini che si identificano in generi diversi e che hanno orientamenti sessuali differenti. Per quanto ancora dovremo ribadire le nostre posizioni il 17 maggio?
Articolo di Elena Gentina con la collaborazione di Jasna Camilla Grossi.