Del: 10 Maggio 2020 Di: Elisa Torello Commenti: 0

La seconda fase dell’emergenza in Italia è iniziata da qualche giorno. Eppure in molti riguardando indietro ai quasi due mesi trascorsi in casa hanno avuto la sensazione che il tempo sia trascorso in maniera disomogenea. Se nei primi giorni di marzo la novità e la paura di una situazione ancora indefinita avevano portato a una percezione del tempo più protratta del normale con giornate che apparivano infinitamente lunghe e uguali a sé stesse, ora può risultare assurdo il pensiero che siano passati già più di sessanta giorni dal famoso decreto che ha esteso la situazione di emergenza a tutto il territorio nazionale. 

In molti si sono interrogati sulla percezione del tempo durante l’emergenza che tutto il mondo si è trovato ad affrontare. Alcuni psicologi hanno provato a rispondere alla distorsione della percezione temporale che in molti hanno lamentato durante la quarantena. È emerso che generalmente le situazioni insolite, traumatiche e stressanti sono sentite come più prolungate nel tempo. È anche vero però che la nostra quotidianità è cambiata e i nostri mondi si sono ridotti al minimo: il fatto di non svolgere attività particolarmente memorabili fa sì quindi che a lungo termine il periodo trascorso risulti inferiore rispetto a quello effettivamente passato. Con il procedere delle settimane l’inusuale è diventato abitudine e abbiamo lentamente imparato a convivere in questa nuova realtà. 

Purtroppo non tutti hanno avuto il privilegio di annoiarsi e vedere il tempo trascorrere lento davanti ai propri occhi, primi tra tutti i medici e gli infermieri impegnati in prima linea nei nostri ospedali.

È molto probabile in ogni caso però che ognuno si sia interrogato almeno una volta sul senso di questi mesi e sul valore di questo tempo sospeso. Il tema del passaggio del tempo è molto comune in letteratura e in filosofia, ma sono molti anche i film che hanno fatto di questo argomento il centro della loro trama. 

Uno dei registi che ne ha ragionato di più, attraverso la sua produzione cinematografica, è sicuramente Richard Linklater. 

Linklater da una parte tratta il tempo prendendo in considerazione un breve arco narrativo nel quale i personaggi dei suoi film si trovano ad agire e riportare la propria quotidianità: molte delle sue pellicole sono infatti ambientate nel giro di poche ore o al massimo un giorno. Ricordiamo Slacker (1991), nominato al Sundance Film Festival e diventato un vero e proprio manifesto della Generazione X, ma anche La vita è un sogno (Dazed and Confused, 1993), film che segue le vite di alcuni adolescenti texani durante il loro ultimo giorno di scuola e che ha consacrato la carriera di attori come Matthew McConaughey e Ben Affleck.

Fondamentale risulta anche l’apporto della trilogia dei film Prima dell’alba (Before Sunrise, 1995),  Prima del tramonto (Before Sunset, 2004) e Prima di mezzanotte (Before Midnight, 2013), tutti ambientati nel giro di poche ore. La trilogia dipinge il rapporto e la relazione di due personaggi -– Jess e Céline -– a distanza di alcuni anni, nove per la precisione tra un film e il suo successivo. La trilogia di Before… ci permette di introdurre il secondo approccio di Linklater al tempo: il regista è interessato a rappresentarne l’essenza, permettendogli di scorrere indisturbato all’interno dei suoi film e di riportare i suoi effetti non solo sulle vite dei personaggi ma anche sui loro volti e la loro fisicità: i tre film agiscono come un testamento vivente del passaggio del tempo.

Boyhood

Linklater non è stato certo il primo a riprendere i propri personaggi a distanza di anni, prima di lui ricordiamo nei film di Truffaut il personaggio di Antoine Doinel, che appare in ben cinque film del celebre regista e che riporta dunque l’invecchiamento dell’attore che lo ha interpretato: Jean-Pierre Léaud. L’abitudine di rendere l’effetto del tempo in maniera realistica si può anche registrare nelle serie cinematografiche, di cui gli otto film della saga di Harry Potter sono un ottimo esempio. Linklater però, probabilmente ispirato proprio dalla ripresa nel corso degli anni dei personaggi di Jess e Céline nei tre film sopra citati, è riuscito in un esperimento mai tentato prima: riprodurre all’interno di un unico film -– Boyhood -– il passaggio del tempo e farne di questo il tema principale.

Nel 2002 il regista iniziò infatti a girare un film dal titolo provvisorio The Twelve Year Project, scritturando i quattro attori principali che avrebbero interpretato la famiglia Evans: Patricia Arquette, Ellar Coltrane, Lorelei Linklater (figlia del regista) e Ethan Hawke (anche interprete di Jess nella trilogia). Per dodici anni, ogni anno il cast si è riunito, girando alcune scene: il risultato è un film in cui gli attori invecchiano sullo schermo in tempo reale. Il film fu presentato in anteprima al Sundance Film Festival nel 2014, ottenendo numerosi riconoscimenti e ben sei candidature agli Oscar. La trama di Boyhood segue la vita di una famiglia attraverso dodici anni di cambiamenti, concentrandosi in maniera particolare su Mason Jr., che all’inizio del film ha soli sei anni. Nel corso della storia emerge l’evoluzione del rapporto del bambino (e quindi progressivamente del ragazzo) con i genitori divorziati, ma anche la rivalità con la sorella Samantha, i matrimoni falliti della madre e la nuova relazione del padre. 

Quando iniziarono le riprese non esisteva un copione definitivo, ma solo il finale e alcuni punti principali della trama.

Ogni anno Linklater riguardando i filmati degli anni precedenti scriveva, includendo nella storia non solo i cambiamenti culturali, sociali e politici del periodo, ma anche adattando i personaggi ai cambiamenti fisici che vedeva negli attori. 

È interessante notare come, nonostante il film ricopra innumerevoli eventi delle vite dei protagonisti, generalmente non vengano ripresi i momenti che i personaggi considererebbero di grande impatto sulla propria vita. Il divorzio dei genitori per esempio precede l’inizio del film, ma anche la disinvoltura di Mason diciassettenne a letto con la propria ragazza tradisce la percezione che il ragazzo abbia già perso la verginità, in un momento non rappresentato all’interno del film. Linklater pur avendo a disposizione un arco di tempo narrativo così largo, ha deciso di raccontare la storia non dei grandi eventi epici della vita, ma di quei momenti quotidiani che al loro interno “portano le tracce” dei momenti di grande impatto, secondo una definizione brillante di Erick Neher.

Lo stesso regista parlando del fascino che nutre verso il modo in cui funziona la nostra memoria, ha spiegato che il suo intento in questo film era di catturare proprio quei momenti non perfettamente definiti nei nostri ricordi e che, pur non essendo particolarmente speciali, sono una gran parte degli attimi che compongono la nostra vita. Ricollegandosi a questo discorso, anche Patricia Arquette ha espresso un pensiero simile a quello del regista texano. L’attrice, che in Boyhood  ha interpretato la madre di Mason, ha fatto notare la tendenza a pensare alla nostra esistenza dividendola per esperienze fondamentali, per poi sottolineare che in fondo forse la vita non sia altro che quel momento a metà tra gli eventi che la nostra memoria trattiene come fondanti.

Boyhood

Quello che colpisce dei film di Linklater è dunque la capacità del regista di mostrare una realtà continua che scorre momento per momento, distaccandosi dalla struttura cinematografica tipicamente hollywoodiana. Ciò che rappresenta nei suoi film sono proprio quegli attimi apparentemente trascurabili, ma che in fondo contengono in essi le potenzialità del futuro.

Nelle scene dei suoi film Linklater quindi tenta di imprigionare la poeticità del quotidiano. In uno dei discorsi iniziali di Prima dell’alba, il regista spiega attraverso le parole di Jess questo concetto. Il personaggio infatti racconta a Céline di una sua idea per uno show televisivo che rappresenti ogni giorno per un anno l’intera giornata di una persona diversa del mondo: trecentosessantacinque storie in grado di catturare la realtà nel momento in cui è vissuta. Quando Céline gli contesta che quei momenti sarebbero semplicemente le cose noiose che ognuno fa tutti i giorni, Jess risponde che lui la definirebbe invece come la poesia della vita che scorre giorno per giorno, momento per momento.

Alla luce di ciò, Boyhood acquisisce un significato ancora più profondo.

Attraverso i momenti catturati della vita quotidiana lo spettatore vede Mason crescere nel corso di dodici anni e vive insieme a lui le esperienze positive e negative. Dopo due ore e quarantacinque il personaggio che appare sullo schermo è completamente cambiato dal bambino di sei anni che osservava il cielo all’inizio del film, e non solo fisicamente. Attraverso il passaggio del tempo Linklater pone quindi anche il tema della propria identità: quanto di noi rimane uguale nel corso degli anni e cosa cambia? 

Molte delle opere del regista si concentrano su una nozione del sé che suggerisce una molteplicità di io racchiusi all’interno di ogni individuo.

Eppure Boyhood risponde proponendo una continuità del sé: nel nostro io presente sono racchiusi tutti i sé passati. Come viene espresso nella parte finale del film, non siamo tanto noi a dover cogliere l’attimo ma è l’attimo che coglie noi in un costante presente: “È sempre adesso”, dice Mason alla fine del film. 

Dopo aver compreso la poetica del regista possiamo immaginare quindi di dare un valore diverso al tempo che abbiamo vissuto in questi mesi e che abbiamo davanti a noi. Vale la pena riflettere sui momenti quotidiani, sulle piccole cose che ogni giorno ci hanno sorpreso, strappato un sorriso o reso tristi e considerare che nel frattempo questi piccoli istanti ci hanno cambiato. Il tempo che abbiamo vissuto non è stato tempo sprecato perché noi nel frattempo siamo stati vivi.

Elisa Torello
Sono nata a fine agosto a Milano, ma sogno il mare ogni giorno. Mi illudo di catturare la realtà che mi circonda attraverso la fotografia e la scrittura. Mi piace parlare di libri e di idee, ma spesso mi soffermo troppo sui dettagli.

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