Del: 31 Maggio 2020 Di: Arianna Locatelli Commenti: 0
Urbex: l’esplorazione urbana per vedere la città da un’altra prospettiva

«È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un’altra prospettiva». Questa famosissima frase de L’attimo fuggente ben rappresenta l’attività dell’urbex, ovvero dell’esplorazione urbana, movimento nato in alcune delle più importanti metropoli mondiali.

Conosciuti con il nome di roofers, termine spesso usato in maniera troppo generica, i ragazzi che appartengono a questo movimento cercano di accedere a luoghi che non sono normalmente aperti al pubblico. Non bisogna però pensare che siano solo i palazzi alti gli obiettivi dei roofers: gru, tunnel, costruzioni industriali, tutto si presta a questo tipo di esplorazione per vivere la città in maniera diversa, vedere tutto o quasi, senza essere visti.

L’attività dell’esplorazione urbana è ovviamente illegale ed è quindi oggetto di ripetute critiche. Dietro all’apparenza si nasconde però un intero mondo, fatto di legami e conoscenze, di albe, tramonti e fotografie mozzafiato, skills fisiche e di progettazione, di linee di comportamento, luoghi nascosti e, appunto, proibiti.

Per tentare di comprendere meglio questo fenomeno e il pensiero che ci sta dietro, Vulcano Statale ha avuto il piacere di intervistare l’iniziatore del movimento italiano, T.one.


In che cosa consiste quello che fai e soprattutto come hai iniziato?

Ho iniziato circa cinque anni fa, abbastanza a caso. Una sera ero fuori con la mia compagnia e con un amico mi sono arrampicato su una gru lì vicino, trovandomi immediatamente a mio agio. Ho in seguito scoperto che questa attività già esisteva e così ho continuato. Quello che faccio è tentare di raggiungere quei posti che non sono accessibili al pubblico per entrare in luoghi che non sarebbe possibile vedere in condizioni normali: strutture di tipo industriale, qualsiasi tunnel o struttura alta.

Veniamo chiamati roofers non sempre a ragion veduta: l’esplorazione urbana (urbex in inglese) riguarda infatti tutte le aree della città, ovviamente le foto che escono meglio sono quelle fatte dall’alto e sono il modo più efficace per comunicare ma, in particolare in Italia, mi occupo anche di molto altro. A seconda degli interessi personali e dei gruppi ci si può specializzare anche perché è sempre meglio essere minimo in due essendo questa un’attività potenzialmente pericolosa.

Dove svolgi principalmente le tue esplorazioni?

Ho iniziato ovviamente in Italia che è però un luogo dove è piuttosto difficile svolgere questa attività, sia a causa di una limitata disponibilità di strutture, sia per conseguenze legislative piuttosto pesanti. In Italia c’è uno scarso interesse per il movimento, l’urbex è praticato soprattutto da ragazzini che lo fanno per divertirsi o da adulti interessati di esplorazione che non si prendono ovviamente determinati rischi: non era quello che cercavo io e così ho puntato lo sguardo all’estero. Mi si è aperto un mondo di possibilità infinite.

Sono entrato in contatto con moltissimi ragazzi di diverse nazionalità, attraverso canali sociali o app di messaggistica privata. Ho iniziato a viaggiare, unendomi a gruppi di ragazzi tedeschi, poi inglesi. Quando mi sposto ora in moltissime città europee ho qualcuno che mi ospita.

Negli ultimi anni sono stato a Francoforte, Amburgo e Berlino, il movimento tedesco è il primo con cui sono entrato in contatto. In Spagna ho scalato a Madrid e Valencia, poi Parigi e New York dove sono stato con due ragazzi di Londra, città in cui tornerò appena riapriranno i confini.

Obiettivi raggiunti?

In Italia ho agito soprattutto a Milano e ho esaurito praticamente tutte le mete, quelle che ho lasciato indietro le ho ritenute troppo rischiose, non ne sarebbe valsa la pena.

Una delle esperienze che ho più apprezzato è stata quella a che ho fatto a Parigi: la capitale francese ha un centro direzionale un po’ fuori dalla città da cui però si può godere di una splendida vista. Era una zona poco sperimentata eppure col mio gruppo sono riuscito a fare praticamente la metà dei palazzi.

New York è stato il massimo, faccio davvero fatica a spiegarlo a parole. Siamo stati molto fortunati ma eravamo organizzatissimi, abbiamo scalato le tre gru più alte della città in un weekend.

Cosa intendi per “più alte della città”?

Ti racconto della scalata alla gru più alta. Innanzitutto, per fare ciò che faccio ci vuole un’attenta e adeguata preparazione. Quando vai in una città sei in contatto con le persone di lì anche se poi te la devi cavare da solo: gli “autoctoni”, infatti, non rivelano i loro segreti ma per me è quasi meglio, la parte che più mi diverte è proprio quella della programmazione, trovare il metodo per arrivare dove voglio, senza mettermi in pericolo.

Quando l’obiettivo è un cantiere spesso è meglio provare ad accedere dalla via dei tetti. A New York, in particolare a Midtown i palazzi sono vicinissimi e se il cantiere è all’interno dell’isolato si sale su un palazzo di 30-40 metri per poi accedere alla gru già a un’altezza considerevole, bypassando di fatto i controlli dove sono più attenti, al livello zero. Per quanto riguarda il cantiere il difficile è fatto.

A New York ci siamo poi arrampicati seguendo i collegamenti usati anche da chi sulla gru ci lavora e siamo arrivati in cima, tra i 400 e i 500 metri. È stato davvero incredibile, abbiamo visto l’alba da quella prospettiva, ripeto, spiegarlo a parole è difficile. So che potrebbe sembrare paradossale, ma in realtà non mi metto mai in situazione rischiose e scalare una gru così alta è più facile che scalare un palazzo o degli uffici.

Domanda banale ma inevitabile dopo questo racconto: non hai mai paura?

Paura di cadere o dell’altezza? No, non mi è mai capitato. Ho alle spalle due anni di parkour e quattro di arrampicata, quello che faccio per l’urbex è più semplice. Ovviamente bisogna essere atletici e preparati fisicamente ma non mi metto mai in condizioni estreme. La mia paura principale è quella di essere preso: ciò che facciamo non è legale e quindi ovviante c’è il rischio di incorrere in sanzioni anche pesanti.

Il 75% delle volte non succede niente, anche se ci fermano sono tanti quelli che capiscono che non stiamo danneggiando nulla ma stiamo solo scattando qualche foto, al massimo ti portano in caserma e ti prendono i dati ma dopo poco ti lasciano andare. Ovviamente ci sono casi dove si dimostrano meno comprensivi e soprattutto sono obbligati a intervenire quando scatta una denuncia da parte di qualcuno che magari ci vede da un palazzo vicino: mi è capitato una volta, fortunatamente la denuncia è stata fatta cadere dopo poco, ma sono situazioni in cui non è piacevole trovarsi. È per questo che preferisco anche andare all’estero: se ti fermano in altri stati è difficile che ci siano conseguenze gravi, ti lasciano andare senza troppe storie.

Di critiche probabilmente te ne sono state mosse svariate in questo periodo di attività: cosa risponderesti a queste osservazioni?

Bisogna partire dal presupposto che non si tratta mai di una mera sfida. Parlo per me ma è un atteggiamento generale del movimento: lo si fa in primis per sè stessi. Ci viene spesso detto che lo facciamo “per metterci in mostra” ma in realtà non è così: anche la parte fotografica e di condivisione degli scatti arriva solo in un secondo momento. Capisco che quello che faccio sia una cosa facile da criticare anche perché appunto non è legale ma nessuno lo fa per recare danni.

Un’altra critica che ci viene spesso mossa è quella che non abbiamo rispetto per la proprietà ma è proprio il contrario, abbiamo un estremo rispetto per il posto: in quelle situazioni sarebbe facile danneggiare gli altri ma nessuno si sognerebbe mai di farlo. Nell’ultimo periodo, ad esempio, sono aumentante in maniera esponenziale le porte serrate, difficili da aprire, ma si cerca sempre un modo per aggirarle, c’è un estremo rispetto per la proprietà altrui.

Domanda scontata e probabilmente senza senso ma che è necessario farti: perché lo fai?

Questo me lo chiedono tutti e lo capisco perché effettivamente non faccio una cosa all’ordine del giorno. È difficile rispondere, ci sono una miriade di motivazioni molte, come ho già detto, complesse da esprimere a parole. In primo luogo però direi perché mi diverto: vedo tutto da un punto di vista diverso, quando mi muovo penso a come potrei accedere a un posto e per me è interessante, il divertimento non sta solo nell’arrivarci ma in come arrivarci.

In secondo luogo per la bellezza: essere in un posto che non è accessibile per vie normali regala panorami emozionanti, sei in un punto da cui vedi tutto o quasi ma nessuno ti vede. È una sensazione che si comprende solo quando ci si è dentro, in cima a un palazzo la sera, tu e il mondo sotto di te.

So che potrebbe apparire come un’attività assurda ma alla fine non è così folle, è un istinto naturale fare queste cose, ce l’hanno in tanti, semplicemente alcuni lo reprimono. Per me è diventato anche un altro modo di vivere la città, c’è sempre di più rispetto a quel che si vede: passo per una via, penso a come sarebbe vista da un’altra prospettiva e soprattutto a come potrei arrivare a quella prospettiva.

Prossimi obiettivi?

A breve termine, nei prossimi due o tre anni, vorrei andare in Asia, mi attrae particolarmente come area del mondo. Più in generale voglio assolutamente continuare a fare ciò che faccio: pensavo che dopo un po’ mi sarei stancato e invece più lo faccio più mi piace. Vorrei portare il movimento in città in cui il fenomeno non è ancora arrivato.

Arianna Locatelli
Da piccola cercavo l’origine del mio nome perché mi affascinava la storia che c’era dietro. Ancora oggi mi piace conoscere e scoprire storie di cui poi racconto e scrivo. Intanto corro, bevo caffè e pianifico viaggi.

Commenta