Del: 21 Giugno 2020 Di: Redazione Commenti: 0
foto presa da BBC.com

Il 9 giugno il governo del Burundi ha ricevuto un brutto colpo: il presidente Pierre Nkurunziza è morto, ufficialmente per un infarto, ma c’è chi mette in ​dubbio la veridicità della notizia​. È sembrato molto strano, infatti, che il presidente, 55 anni, sportivo e in ottima forma, sia deceduto per un attacco cardiaco e alcuni hanno ipotizzato che possa essere morto a causa del Covid-19.

Il problema è che il governo del Burundi (complice anche l’opposizione) ha di fatto ignorato il virus, tanto che ha recentemente espulso dal paese i rappresentanti dell’OMS, senza dare spiegazioni. Per questo motivo si pensa che difficilmente le autorità ammetteranno che il presidente sia stato vittima del virus che egli stesso aveva trascurato, come ha postato recentemente il giornalista sudafricano Simon Allison su Twitter​:

The big question here is whether Burundi’s outgoing president died from Covid-19 (and whether authorities will admit it if he did).

Nonostante il pericolo dovuto alla pandemia, il governo ha confermato le elezioni che si sono svolte il 20 maggio scorso: teoricamente queste avrebbero dovuto porre fine alla simil dittatura di Nkurunziza, ma di fatto lo hanno posto nelle condizioni di gestire il potere da dietro le quinte, tramite l’elezione del candidato alle Presidenziali Évariste Ndayishimiye, generale e Segretario del partito.

Le opposizioni, peraltro, affermano che la votazione sia avvenuta con metodi fraudolenti e priva di controlli internazionali.

Nkurunziza era salito al potere nel 2005 e ​avrebbe dovuto lasciare la carica nel 2015,​ ma si è riproposto violando il termine costituzionale di due mandati. In seguito a questa decisione, si è scatenata una crisi politica che è sfociata nella repressione delle proteste degli oppositori, che sono stati torturati e condannati a morte.

Poco dopo è stato tentato un colpo di stato che è però fallito e ha determinato l’uccisione di oltre mille burundesi e la fuga di altri 400.000 all’estero. Da quel momento il governo ha preso una serie di decisioni che hanno depresso l’economia fino alla bancarotta e isolato il Paese, tramite il ritiro del Burundi dalla Corte penale internazionale e la chiusura della sede locale dell’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Tale chiusura è stata giustificata dai sufficienti progressi che, a detta del governo, sono stati ottenuti nei diritti umani.

Tuttavia, un rapporto delle Nazioni Unite dello stesso anno ha documentato molteplici omicidi e stupri: “I corpi si trovano regolarmente in luoghi pubblici … molte persone scompaiono”; è scritto nella relazione che alcuni degli stupri sono stati commessi di notte nelle case delle vittime, di fronte ai loro figli.

Tutto questo è passato quasi inosservato, tanto che un ​articolo di GQ ​del settembre del 2019 ha definito il Burundi come la “dittatura più brutale di cui non avete mai sentito parlare”. Notizia degli ultimi giorni è che una corte d’appello in Burundi ha confermato la ​pena detentiva di due anni e mezzo per quattro giornalisti ​accusati di aver tentato di minare la sicurezza dello Stato: il governo dell’ex-presidente Pierre Nkurunziza ha represso i media in vista delle elezioni presidenziali di maggio, diverse stazioni radio locali e case dei media hanno chiuso e molti giornalisti sono fuggiti dal paese.

Il Burundi, insomma, ultimamente è un paese sottosopra, che dopo la morte del proprio leader si trova a gestire gli effetti della crisi economica e dell’isolamento derivato dalle scelte di Nkurunziza.

C’è chi auspica che ora il Paese possa dare vita a una rinascita: resta da vedere come reagirà il nuovo governo, se seguirà le orme del predecessore, mettendo in atto politiche repressive per mantenere il controllo, o se sceglierà di intraprendere un progetto di svolta, costruttivo e migliore per il Paese, ma sicuramente più complicato.

Articolo di Letizia Bonetti

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