Del: 15 Giugno 2020 Di: Michele Pinto Commenti: 3

Quasi quattro mesi dopo l’esplosione della pandemia il governo si ritrova al punto di partenza, come in un gioco dell’oca impazzito. Impazzito, perché è cambiato il contesto. Ma comunque lo stesso identico gioco, perché Cinque Stelle e Pd cercano ancora, nell’affanno generale, di raggiungere un equilibrio duraturo.

La ricerca dell’equilibrio. È questo il leitmotiv dell’attuale maggioranza: fin dalla nascita agostana, il Conte Due ha dovuto prendere le misure con un matrimonio politico tutt’altro che facile. Da una parte i Cinque Stelle, reduci dall’avventura con Salvini e dall’impazzimento sovranista di quei dodici mesi. E dall’altra il Pd, ancora frastornato dalla sconfitta del 2018 e da poco nelle mani di Zingaretti. Per alcuni mesi i due partiti si sono fusi a freddo, con diffidenze e ostilità reciproche, tanto che i pochi tentativi di andare più a fondo, come in Umbria, sono naufragati miseramente. Solo l’Emilia ha dato qualche soddisfazione. Intanto Salvini si stabilizzava, seppure in difficoltà, e Giorgia Meloni si rafforzava: in generale l’opposizione di centro-destra trovava linfa nello sbandamento della maggioranza. O, ancora meglio, si giovava della logica bipolare sinistra-destra, governo-opposizione, che si è innescata, e alla cui partita uno dei due poli ha rinunciato preliminarmente a giocare.

Perché la destra ha colto e compreso subito il vento bipolare, di contrapposizione senza eccezioni, che attraversa il Paese. 

Anche qualcuno a sinistra l’ha capito -– o forse l’ha agevolato -– come Bersani e i suoi. Ma nella sostanza il governo non ha accettato di giocare su questo tavolo e si è impantanato, a dicembre come oggi, in una logica di rivalità interna. Insomma: è la sinistra, bellezza. Ed è inutile elencare adesso i governi di centrosinistra azzoppati dall’interno durante gli ultimi quindici, venticinque anni.

Poi è arrivata la pandemia. Il governo ha reagito con i suoi mezzi e Conte si è dimostrato pronto, a differenza di molti leader nel mondo, nell’imporre le misure restrittive. La popolarità dello stesso premier è cresciuta, tanto che un recente sondaggio accredita un suo partito al 14 per cento.

Ma adesso? Adesso tutto questo processo si è drammatizzato. Ogni minima scelta del governo comporta un rischio enorme, sulla pelle di milioni di persone. Il decreto marzo mise in campo 25 miliardi di euro. Il decreto “rilancio”, a maggio, ne ha stanziati altri 55. Cifre enormi. In tanti hanno lamentato però un problema di implementazione, cioè di incapacità di fare arrivare effettivamente alle famiglie e alle imprese queste risorse. Ad esempio: era stata prevista una copertura statale sulla cassa integrazione, ma a causa dei ritardi di INPS e regioni centinaia di migliaia di lavoratori l’avevano ricevuta in ritardo o non l’avevano ricevuta. Questa e altre difficoltà hanno sollevato critiche al governo e alla sua capacità di controllo e, in definitiva, di esecuzione dei provvedimenti. Si tratta di un problema enorme, che in Italia perdura da decenni.

La maggioranza litiga. Il Pd fa ostruzione sugli Stati Generali dell’economia -– l’idea di Conte per riunire i mondi dell’impresa, del sindacato e dell’associazionismo nell’elaborazione di un pacchetto di riforme -– perché annunciati di sorpresa e senza accordo preventivo. I Cinque Stelle rifiutano gran parte del fantomatico Piano Colao, preparato in due mesi e tanto sfuggente e ampio da apparire trasparente. Non c’è un’anima, insomma. Intanto, fuori, la destra si scalda, eccitando le piazze e organizzando la strategia per tornare al governo, passando anche per le elezioni regionali d’autunno. 

Ecco dunque il gioco dell’oca. Dopo dieci mesi la maggioranza si trova al punto di partenza, senza un’idea comune, logorata dalle divisioni.

L’unico del governo che ne esce rafforzato, per non dire trionfante, è proprio Giuseppe Conte. Mentre i due contraenti -– che poi sono quattro, con Italia Viva e Liberi e uguali -– si azzuffavano nella ricerca della supremazia, mentre il Pd, messo alle strette da Renzi, si lacerava nell’ennesimo tributo sull’altare del senso di responsabilità, il premier si muoveva come un ombra tra gli specchi, e affiorava, nel pieno della crisi, come un protagonista. Se all’inizio di questo governo si era mosso con discrezione, limitandosi a non ostacolare i litigi di Cinque Stelle e Pd, poi ha cercato sempre più di assumere centralità nella scena politica. L’opacità del Conte gialloverde è stata sostituita da una maggiore incisività. Senza l’ingombranza di Salvini, con un Di Maio dimezzato e uno Zingaretti mite, il premier ha guadagnato attenzioni e possibilità di manovra. Ora è lì, al centro della scena, più forte che mai, emblema stesso del trasformismo e dell’ambivalenza del suo personaggio. Per alcuni uno spettro della parabola di Mario Monti, per altri una speranza.

Il punto è che non ci sono alternative. Per Zingaretti e i Cinque Stelle l’alternativa a Conte è un salto nel buio, forse addirittura nelle urne. Significherebbe lasciare il Paese, prima ancora che nelle mani di Salvini e Meloni, senza guida, nell’incertezza del tremendo momento che sta attraversando. Ma c’è di più. Appare lampante, al momento, che Conte è l’unico che possa intestarsi quel processo di fusione effettivo che consentirebbe al nuovo centro-sinistra di competere con la destra. Questa è la scommessa che sta sul tavolo.

Non è facile, naturalmente. Le difficoltà, i malumori e anche le critiche di buonsenso a questa strada non mancano. Calenda cerca di interrompere questa saldatura, lamentando la radice populista dell’attuale governo, con il Pd succube della linea grillina. Renzi, a modo suo, piccona tutto ciò che si ritrova a tiro. Salvini e Meloni cercano di evitarlo, perché temono di ritrovarsi di fronte, alle elezioni, una coalizione ben più competitiva dell’attuale. Ma intanto, senza alternative, il governo si barcamena. Se non ci saranno incidenti clamorosi, se tutti all’interno del governo si convinceranno fino in fondo di questa prospettiva, allora questo disegno, con tutte le sue criticità e inadeguatezze, potrà anche arrivare in porto.

Michele Pinto
Studente di giurisprudenza. Quando non leggo, mi guardo intorno e mi faccio molte domande.

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