Del: 2 Luglio 2020 Di: Carla Ludovica Parisi Commenti: 0

Come altre recensioni, ben più autorevoli di questa, hanno avuto modo di sottolineare, Curon, la nuova serie italiana targata Netflix, non ha soddisfatto le aspettative.

La storia, complici lo svelamento troppo repentino della trama e la ricreazione ripetuta di atmosfere tipicamente horror che non preludono assolutamente a nulla che faccia sobbalzare lo spettatore, perde velocemente ritmo e suspense, fatica a mantenere costante l’attenzione, e sono passibili di critica anche le performance attoriali e il didascalismo, un po’ spiazzante, con il quale vengono spiegati i misteri.

Eppure, le premesse erano buone, a partire dall’ambientazione: l’Alto Adige, regione di grande fascino dal punto vista naturalistico e che evoca anche atmosfere di mistero, sfruttate per esempio, seppure con un’accezione diversa, quella del thriller, da Donato Carrisi in La ragazza nella nebbia (2017).

E l’intrigo non si limita solo alla natura, estendendosi anche alla storia recente: con la creazione, nel 1950, del lago artificiale di Resia, infatti, il vecchio centro abitato di Curon Venosta, dove la vicenda si svolge, è stato sommerso quasi interamente – resta infatti visibile il caratteristico campanile – e il nuovo borgo è stato ricostruito.

Un luogo e una regione quindi fortemente connotate dal tema del doppio: due culture, quella italiana e quella tedesca, ma anche due cittadini, i cui abitanti celano un segreto inquietante, riflesso della doppiezza del posto in cui vivono. I numerosi riti religiosi e anche folcloristici non riescono infatti a scongiurare il rischio di incontrare il proprio Doppelgänger, che emerge dal lago quando un personaggio vive un momento di forte crisi.

La connotazione psicanalitica del doppio – ed è questo l’aspetto interessante – si fonde però con la mitologia, che in alcuni casi interpreta la sua apparizione con un presagio di morte.

In Curon infatti l’obiettivo di questa entità è sostituire il personaggio che le corrisponde, uccidendolo per vivere quell’esistenza a cui quest’ultimo aspirava, senza farsi scrupoli a ricorrere a forme di violenza, opzioni non in elenco per la parte “buona”. In più, un altro elemento caratterizzante mutuato dal folclore è il carattere persecutorio di questa figura, che appare senza poter mai smettere di tormentare il suo alter ego fino alla morte.

In conclusione, la proposta di Doppelgänger che emerge in Curon è interessante, da un lato per la sua caratterizzazione, che affonda le proprie radici in contesti diversi e complementari nella formazione di questo concetto, e dall’altro per la coerenza con la doppia identità del luogo, che viene letteralmente narrata anche attraverso i personaggi.

Una buona potenzialità che, si spera, possa essere eventualmente sfruttata in una seconda stagione, alla luce dei limiti della prima. A meno che un suo doppio non emerga dal lago…

Carla Ludovica Parisi
Laureanda in Lettere Moderne dagli orizzonti non solo umanistici. Amo la complessità, le sfide e i problemi da risolvere.

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