All’alba del 21 luglio il Consiglio Europeo ha raggiunto l’accordo storico sul piano di ripresa chiamato Next Generation EU, un fondo da 750 miliardi di euro per aiutare le economie del Vecchio Continente a riprendersi dalla crisi sanitaria, a modernizzarsi ed a mantenere stabile il mercato unico.
Lo scontro più duro è stato tra l’Italia e l’Olanda, a guida dei Paesi “frugali”. Un testa a testa fra Conte e Rutte. Alla fine si può dire che nessuno ne sia uscito perdente.
«Questo accordo sarà visto come un momento cardine nella storia dell’Europa», ha detto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Il compromesso finale ha modificato profondamente la composizione del pacchetto rispetto alla proposta iniziale della Commissione europea, cambiando la proporzione tra sovvenzioni a fondo perduto che ammonteranno ora a 390 miliardi di euro – invece dei 500 inizialmente previsti –, e prestiti, pari a 360 miliardi, invece dei 250 originari. Il trucco di Michel è stato di non tagliare i sussidi a fondo perduto che saranno gestiti direttamente dai governi nazionali, ma solo quelli che dovevano transitare via la Commissione e la Bei. L’Italia rimane comunque la prima beneficiaria, con 209 miliardi totali di aiuti, 81 circa a fondo perduto a quasi 128 di prestiti.
Il freno di emergenza
È importante parlare della governance del Recovery Fund. Qui è presente una sorta di “freno di emergenza”, una vittoria olandese per far si che i Paesi attuino effettivamente riforme produttive per accedere ai fondi. Il testo finale prevede dei “targets”, come ai tempi del salvataggio della Grecia attraverso la Troika. Sarà infatti la stessa Commissione a valutare i piani nazionali di riforma.
Queste riforme dovranno avere come obiettivo la crescita del PIL, la creazione di posti di lavoro, l’aumento della resilienza economica e sociale dello stato membro in questione e anche il contributo alla transizione verde e digitale rappresenta una condizione preliminare ai fini di una valutazione positiva. Sono le famigerate condizionalità: l’Unione vuole accertarsi che le riforme finanziate con i suoi soldi servano ad aumentare la crescita e il benessere economico e sociale dell’Europa.
E chi fornirà alla Commissione le informazioni necessarie per stabilire se un piano nazionale merita di essere finanziato oppure no?
La Commissione dovrà chiedere il parere di un comitato economico e finanziario che sarà formato da alti funzionari di governi, banche centrali, BCE e della Commissione stessa.
Questi piani dovranno essere approvati dal Consiglio (i governi) a maggioranza qualificata.
Qui Rutte ha dovuto cedere. L’Olanda voleva che gli Stati membri avessero potere di veto sulla decisione di procedere al pagamento dei fondi UE nel casi in cui uno o più Paesi avessero riscontrato a loro giudizio uno scostamento tra il piano nazionale di riforma concordato e l’esecuzione. L’Italia ha ottenuto che nelle conclusioni fosse allegato il parere legale del servizio giuridico del Consiglio.
Quindi le parole “veto” e “unanimità” non compaiono. Però, in caso di dubbi sul rispetto degli impegni di riforma di un paese, uno Stato membro potrà bloccare la decisione di sborsare i fondi del Recovery Fund deferendo la questione al Consiglio europeo, dove i capi di Stato e di governo decidono per consenso. È un veto-non-veto. Si dovrà trovare un accordo sul piano di riforma in esamine che metterà d’accordo tutti.
Il bilancio UE
Charles Michel è riuscito a mantenere stabile il bilancio che l’UE avrà nel periodo 2021-2027, ovvero 1074 miliardi. Per farlo si è dovuto procedere con tagli alla coesione e all’agricoltura, ma sono aumentate le risorse per la modernizzazione del budget come ricerca, digitalizzazione, migrazioni e sicurezza. Anche la transizione green è stata leggermente trascurata, con la certezza di una plastic tax nel 2021 – che andrà a contribuire al rimborso del Recovery Fund – ma non di una carbon tax.
Anche sul piano del bilancio i Paesi frugali hanno incassato una vittoria: aumentano gli “sconti” sul contributo al bilancio europeo, ovvero i rebates, per i maggiori contributori netti dell’UE – proprio i frugali – che saranno colmati dall’aumento delle quote di bilancio degli altri Membri.
Traendo le conclusioni, si può dire che Rutte e i frugali di sicuro non rientrano nei perdenti della trattativa. Germania e Francia si sono ritenute soddisfatte, dato che senza di loro il Recovery Fund non si sarebbe mai potuto realizzare.
Anche Conte è potuto tornare a Roma soddisfatto. C’è un ma: nel periodo 2021-2027 l’Italia ora passerà da contributore netto a beneficiario netto, ovvero verserà meno di quanto incassa dall’UE. Questa non è l’immagine di un Paese sano, che ha ricevuto l’ultima bastonata col coronavirus.
La sfida per Conte inizia adesso, ovvero proporre una lunga serie di riforme che riportino l’Italia alla crescita rispettando le condizionalità del Recovery Fund. La lista potrebbe essere lunga: infrastrutture, digitalizzazione, riforma delle pensioni e della PA, occupazione, snellimento della burocrazia sono solo alcuni dei temi che da anni necessitano una revisione. Nei prossimi anni si aspetta una sfida di responsabilità.