Del: 6 Luglio 2020 Di: Francesca Rubini Commenti: 0
Lo "zio Oscar" cerca l'incisività (e forse la trova)

Il 9 febbraio 2020 si è tenuta al Dolby Theatre di Los Angeles la 92esima edizione degli Academy Awards, meglio noti come Oscar – secondo la leggenda, la famosa statuetta assomigliava a uno “zio Oscar” di Margaret Herrick, una delle prime direttrici dell’Accademia della Arti del cinema –. 

Di questa edizione negli anni a venire ricorderemo sicuramente i molteplici premi e il grande successo di Parasite, il film rivelazione di Bong Joon-Ho.

Tuttavia, da tempo ormai (e fortunatamente!) l’attenzione si sta focalizzando anche su questioni che, se a qualcuno possono sembrare laterali, in realtà rappresentano un punto centrale di tutto il meccanismo.

Ed è a questo punto centrale che si lega la notizia rilasciata il 30 giugno scorso dall’Academy e che prevede di includere altri 819 artisti e professionisti nella già numerosa giuria (composta da circa 9000 tra attori, registi, sceneggiatori, produttori…). 

Ma partiamo dal principio.

Era il 2015 ed era l’anno dell’edizione degli Oscar che viene ricordata per essere l’edizione “più bianca” degli ultimi tempi, e questo nonostante l’anno prima la vittoria come Miglior film di 12 anni schiavo (Steve McQueen, 2014) avesse fatto pensare che qualcosa si stesse mettendo in moto. Ma evidentemente così non fu, o meglio, non ancora.

Era il 2015 ed era l’anno in cui l’attivista April Reign ideò l’hashtag “OscarSoWhite”, forse un po’ per caso.

Come lei stessa racconta il successo che ebbe la sua iniziativa fu inaspettato. La questione ovviamente non era limitata alla “razza”, e di fatto portò effettivamente con sé una serie di reazioni a catena finalizzate ad ampliare la discussione anche sulla parità di genere (con il movimento Time’s Up) nonché sulle minoranze asiatiche (con il movimento WhiteWashedOut). 

Evidentemente fu quello un segnale e forse solo l’inizio di una (seppur lenta) svolta. 

Era il 2016 ed era l’anno che si rivelò essere – tristemente – il secondo di fila in cui la giuria dell’Academy non nominò nessun attore appartenente a una minoranza. (Era l’anno di Michael B. Jordan in Creed, ma l’unica nomination per questo film la prese Sylvester Stallone, un supporter actor in un film incentrato sulla vita di un giovane afroamericano; e di Will Smith in Concussion.)

Michael B. Jordan in Creed

Dunque, nonostante l’organizzazione che sta dietro agli Oscar afferma già da anni ormai di star facendo un lavoro di diversificazione a livello di inclusività e di maggiore focalizzazione a livello globale, e nonostante sia proprio dal 2015 che ha messo in atto un programma chiamato A2020 a tale scopo, la strada sembra essere ancora lunga.  

Nel 2019 per esempio si era arrivati ad avere tra i membri della giuria il 32% rappresentato da donne e il 16% composto da minoranze (contro l’8% del 2015). Ancora numeri estremamente bassi. 

E la beffa è arrivata con l’edizione del 2020. Otto su nove film sono su “uomini bianchi”.

Piccole donne è stato l’unico film diretto da una donna a essere nominato, ma surprise surprise! Greta Gerwig (regista del film) non è stata nominata nella categoria miglior regista. E quale sorpresa considerato che in tutte le 92 edizioni del premio più ambito di Hollywood sono solo 5 le donne in totale a essere state nominate

Fonte: New York Times

Come sottolinea molto bene un articolo del New York Times, i film di questa edizione in particolare possono essere considerati “un’entità rappresentativa”. 

Tra i miglior attori e le migliori attrici candidate solo Cynthia Erivo per la sua interpretazione in Harriet (Kasi Lemmons) si erge in rappresentanza delle minoranze, e non poche sono state le polemiche su Jennifer Lopez snobbata dall’Academy nonostante la sua interpretazione di un personaggio complesso come quello di Ramona in Hustlers (Lorene Scafaria).

L’unico film che racconta una storia di donne (Piccole donne) è stato visto da un audience per la maggioranza femminile e quasi ignorato dagli uomini. (Bias cognitivo?)  

Cynthia Erivo

La notizia di questi giorni – di cui si faceva menzione sopra – e il conseguente ampliamento e la diversificazione dei membri della giuria rappresentano sicuramente un passo importante a cui però dovrà seguire una riflessione, una discussione costante e una volontà di investigare i cambiamenti e ciò che consideriamo importante e degno di menzioni e premi

Nuovi membri e nuove voci porteranno senza dubbio con sé una trasformazione dei criteri con cui le nomination vengono assegnate. Senza ombra di dubbio questo progetto a lungo termine dell’Academy dimostra una presa di consapevolezza della necessità di un cambiamento radicale del modo in cui vediamo e viviamo il cinema.

Le generazioni precedenti hanno canonizzato certi tipi di storie e le hanno focalizzate su un protagonismo maschile e bianco rappresentando sullo schermo, nella maggioranza dei casi, questioni “di peso” – basti pensare per esempio a uno dei film candidati quest’anno, 1917, ambientato durante la Grande Guerra e in cui compare una sola donna, in una sola scena –. 

Parlando di numeri, tra gli 819 artisti e professionisti invitati dall’Academy quest’anno a prendere parte alla giuria, il 45% è rappresentato da donne, il 36% è rappresentato da minoranze e il 49% è rappresentato da artisti internazionali, provenienti da 68 paesi.

Menzione particolare all’attore Pierfrancesco Favino che si è meritato un posto al tavolo della giuria (insieme ad altri professionisti italiani).

https://www.instagram.com/p/CCGp7S_oVLE/

L’Academy porterà avanti il progetto attraverso una seconda fase, l’Academy Aperture 2025, allo scopo di mantenere viva la conversazione e di cercare di cambiare la narrativa dominante nel mondo cinematografico. 

Si comincia dal cinema, e magari chissà…

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Francesca Rubini
Vado in crisi quando mi si chiede di scrivere una bio, in particolare la mia, perché ho una lista infinita di cose che mi piacciono e una lista infinita di cose che odio. Basti sapere che mi piace scrivere attingendo da entrambe.

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