Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza.
Antonio Gramsci, sul primo numero di L’Ordine Nuovo (primo maggio 1919)
L’emergenza sanitaria nata per la pandemia da Covid-19 ha insegnato a tutti quanto preziosa sia la scuola pubblica. Molto spesso gli studenti, dalle elementari all’università, tendono a dare l’istruzione per scontata, a sottovalutarla, talvolta a denigrarla, a considerarla superflua, e questo accade tra i più piccoli, che magari preferirebbero giocare piuttosto che stare sui libri, ma anche negli ambienti familiari in cui la cultura dello studio manca o è poco valorizzata.
Vedendo la routine arenarsi, le giornate trascorrere tutte uguali, e scoprendo per la prima volta cosa significhi avere difficoltà nell’accesso all’istruzione, per tanti è divenuto chiaro che la scuola sia il vero motore del Paese. Ma è stata una pandemia a cambiare la percezione della scuola, e non ha funzionato per tutti. Inoltre, non sappiamo cosa accadrà al sistema scolastico, come cambierà nei prossimi mesi, quando si tornerà a lezione.
La ripartenza del mondo della scuola deve nascere dalla riflessione su alcuni dati, scientifici ed empirici, che le riforme degli ultimi vent’anni, in primis quelle del 2010 e del 2017, sembrano aver tenuto in scarsa considerazione.
Dagli anni ’90 del secolo scorso, il modo di approcciare la scuola e l’università è radicalmente cambiato, basti pensare all’introduzione del registro elettronico e delle piattaforme digitali. Le modifiche apportate al mondo della scuola però non sono state accompagnate da interventi sulla didattica, ancora prevalentemente frontale, e sui programmi scolastici, di cui è stata modificata solo la denominazione. Com’è possibile che la maggior parte degli esponenti della generazione Z, nati durante l’era digitale, abbiano scarsissime capacità informatiche? Che nella scuola pubblica si dedichi così poco tempo alla formazione di quest’area disciplinare?
Da anni studenti ed insegnanti denunciano le insufficienze dei mezzi a disposizione (laboratori, aule informatiche, lavagne LIM), dei quali è tra l’altro più che palese la disparità tra scuole del Nord e del Sud, tra centri urbani e città più piccole.
La riforma costituzionale del 2001 (l. Cost. 8\2001) ha assegnato allo Stato una competenza esclusiva nella materia ”norme generali sull’istruzione” (art. 117, comma 2, lett. h, Cost.), lasciando alle regioni e all’autonomia scolastica importanti margini discrezionali. Ma la ben nota ”questione meridionale” non può non presentarsi in questo campo: un esempio lampante si può riscontrare anche solo nelle possibilità offerte per i percorsi di Alternanza Scuola-Lavoro, che non saranno certo le stesse per gli studenti di un liceo milanese e di uno in provincia di Salerno. Per non parlare della quasi totale assenza di computer e aule LIM in determinate parti d’Italia.
Questo non significa che l’alternanza scuola-lavoro sia un male di per sé, o che la svolta digitale sia un errore, ma che tutte le riforme che si sono susseguite nel tempo non sono riuscite ad uniformare il Paese e che anzi, stanno giorno per giorno aumentando un divario già ampio, senza dare in ultima analisi alcun frutto.
Durante la pandemia da Covid-19, dall’Istat è emerso un dato spaventoso: un terzo delle famiglie italiane, la metà delle quali si trova nelle regioni del Sud, non ha un computer che permetta agli studenti di seguire le lezioni a distanza. Il dato inoltre non contempla tutti quegli studenti che vivono con fratelli, sorelle, genitori in smart workig, ma che non hanno a disposizione i mezzi per permettere a tutti di svolgere le proprie attività in via telematica.
Questo significa che esistono tanti, troppi studenti che in questo momento non hanno accesso all’istruzione pubblica, in un Paese che nel 2018 contava un tasso di abbandono scolastico del 14,8% (Eurostat), tra i più alti dell’Unione.
Non volendo fare supposizioni su quali saranno gli effetti della pandemia per gli studenti, è comunque possibile analizzare il dato che il lockdown ha fatto emergere: la crescente digitalizzazione dell’istruzione, le riforme apportate, quelle mancanti sul tema degli ex ”programmi scolastici” e della valutazione, il divario tra le scuole pubbliche nei diversi territori d’Italia ed infine, i tristi primati europei sull’abbandono scolastico e il basso numero di laureati, delineano il quadro di una scuola pubblica sempre più lontana dalla realtà delle famiglie italiane, delle esigenze degli studenti e degli insegnanti, ma soprattutto delle future prospettive economiche del Paese.
E se l’errore dei crescenti tagli alla sanità pubblica sta emergendo in queste settimane in tutta la sua tragicità, per gli effetti dei tagli all’istruzione bisognerà aspettare ancora anni: a pagarne il conto saranno, ancora una volta, le future generazioni.