In Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità (Bompiani, 2014) Yuval Noah Harari non stila una mera cronologia di fatti, date ed eventi: la storia, attuale e non, qui si intreccia con la politica, l’economia, la biologia e la filosofia, senza critiche o giustificazioni.
L’autore fa scendere l’uomo dalla cima del piedistallo evolutivo sul quale si è posto e lo ricolloca dove deve stare: membro di una famiglia abbastanza rumorosa alla quale spesso si dimentica di appartenere: quella delle scimmie.
Certo, siamo tutti d’accordo sul fatto che l’uomo sia arrivato sulla Luna e il bonobo no, che il sapiens è “quello che sa” nell’albero genealogico; ma è sempre bene ricordarsi da dove si viene.
L’opera affronta sì le orme dei nostri antenati, ma con l’intento di spiegare come si è arrivati alla realtà che ci circonda, mettendo a confronto dinamiche odierne e antiche, spiegando come denaro, religione, potere e successo hanno dettato legge, allora come oggi; perché la rivoluzione agricola influenza tutt’ora il nostro modo di alimentarci, in un ripetersi di dinamiche e vicende simili ma mai del tutto uguali.
Per citare Gerorge Santayana, poeta e saggista spagnolo, «Chi non conosce la storia è destinato a ripeterla».
Oltre a ripercorrere tappe fondamentali come la prima rivoluzione agricola, la nascita della scrittura, i primi imperi e la colonizzazione, la rivoluzione industriale e quella scientifica, Harari scardina in maniera netta alcune ideologie purtroppo ancora radicate nella nostra società, come razzismo, questione di genere, patriarcato, smontandoli uno a uno come pezzetti di Lego.
Afferma, infatti: «Se si vuole tenere isolato un dato gruppo di umani – donne, ebrei, rom, gay, neri – la cosa migliore è convincere la gente che questi individui sono fonte di contaminazione». Apprendiamo, inoltre, quanto l’uomo fosse una minaccia terrestre sia per gli animali sia per il clima già da quando affilava schegge di selce, e come la situazione sia man mano peggiorata secolo dopo secolo con i primi spostamenti primitivi, poi con la colonizzazione e infine con l’inquinamento industriale dei nostri giorni, con il rischio di cancellare anche noi stessi.
È dunque la storia stessa a confermare che l’Homo Sapiens è un serial killer ecologico.
Ma siamo arrivati dove nessuno si era mai spinto.
La provocazione dell’autore, e quella che rivolgiamo a tutti i sapiens del ventunesimo secolo, è fin dove saremo in grado di spingerci, fino a quando la nostra sete di novità e benessere, mossa da insoddisfazione, sarà portatrice di conquiste positive e non si tramuterà (se non l’ha già fatto) in una arma di distruzione?
Se l’argomento vi intriga, Harari ha scritto anche un’ideale prosecuzione di quest’opera, intitolata Homo Deus: Breve storia del futuro (Bompiani, 2017).