Del: 30 Ottobre 2020 Di: Beatrice Balbinot Commenti: 0

Di solito quando si parla di guerre si pensa ai libri di storia, alle interrogazioni, alle verifiche con una sfilza di date da attribuire al giusto avvenimento. La guerra ci sembra appartenere al passato, siamo abituati a considerare il dolore del conflitto come un tragico capitolo della memoria collettiva, che magari ancora ci colpisce, ma che di fatto è relegato in una dimensione lontana, storica, estranea. E anche quando ci accorgiamo che in altre zone del globo ancora si muore per le bombe e sotto i colpi di mitra la sensazione è quella di una realtà che non ci appartiene. “Lì c’è la guerra”, commentiamo, sottolineando una distanza che non è solo spaziale, ma anche culturale e sociale. 

Il disastro delle guerre mondiali ha costretto l’occidente alla promessa della pace, ad un patto che ha esorcizzato finalmente il dolore della guerra dal presente dei cittadini. Ma la fortuna di essere nati nella parte del mondo dove non si vive sotto la minaccia costante degli spari non deve far dimenticare che i massacri ancora esistono e che la guerra è davvero quel virus per cui non esisterà mai un vaccino infallibile. Dunque impariamo a guardarci intorno, impariamo ad accorciare le distanze tra noi e quel concetto di guerra che vorremmo, ma non possiamo, dimenticare e accorgiamoci di quanto ancora la violenza sistematica sia attuale. Perché la guerra, per qualche inceppo della storia, per qualche contraddizione dell’umanità, non è stata debellata affatto. Sottaciute dai grandi media e ignorate dall’interesse comune, molte violenze silenziose sono perpetrate nel presente monopolizzato dall’emergenza sanitaria.

Questo è il caso di alcuni paesi dell’Africa centrale, dove da molti anni si avvicendano escalation di violenza e massacri.

La Repubblica Democratica del Congo è piegata, già da più di 20 anni, nella morsa di un’atroce guerra civile che ha già causato milioni di vittime. Da una parte gli Hema, dall’altra i Lendu. L’ostilità tra queste due tribù nasce per il controllo e lo sfruttamento della terra, primo mezzo di sostentamento tanto per gli Hema, popolo di pastori, quanto per gli agricoltori Lendu. Così la provincia nord-orientale dell’Ituri si è trasformata in un campo di morte, scenario delle brutalità di una guerriglia che non conosce tregua, di stupri e di violenze sistematiche e continue.

Secondo l’Onu tra dicembre 2017 e settembre 2019 nella zona si sarebbero contati 701 morti e ben 142 crimini sessuali. Ad aggravare ulteriormente la situazione c’è l’azione delle Forze Democratiche Alleate, un gruppo terroristico già individuato come uno dei più validi alleati dello Stato Islamico. Gli attentati nella provincia Ituri hanno causato 1500 vittime negli ultimi 5 anni, mentre si contano 800 rapimenti. Il Congo, che nel 2019 ha fatto i conti anche con una successione presidenziale all’insegna della violenza e che da anni è sfruttato dall’occidente per le preziose risorse di materie prime nel sottosuolo, è tutt’ora una delle zone più instabili del pianeta: dal 1996 ben 6 milioni di persone hanno perso la vita negli scontri, molte delle quali sono bambini. A nulla è valso il tentativo dell’Onu di insediare nel territorio una missione di pace, denominata Onu Monuscu: la presenza dei caschi blu ha spesso causato ulteriori motivi di conflitto, che hanno soltanto aumentato l’opprimente senso di abbandono e fatalità degli abitanti. 

Ma voci strazianti di violenze e stupri, specchio di una profonda crisi umanitaria, non giungono solo dal Congo. Non migliore è la situazione in Camerun, dove dal 2016 è in atto una feroce disputa armata. Protagoniste delle violenze contro la popolazione sono le truppe armate del presidente Paul Biya, al potere dal lontano 1987. La guerra civile che ha causato in Camerun migliaia di morti negli ultimi anni si aggiunge alla drammatica storia dello stato africano, da sempre schiacciato sotto pesanti pressioni colonialiste. Il Camerun è infatti diviso in due zone, una anglofona e una francofona, in forte contrasto tra loro. L’azione politica del presidente Biya ha favorito largamente le otto regioni di lingua francese, a discapito della popolazione delle restanti due province, corrispondenti ad ex possedimenti britannici.

Le leggi emanate negli ultimi anni hanno alimentato motivi di conflitto tra la popolazione, conflitto che è sfociato in arresti arbitrari, stupri di massa, violenze e uccisioni da parte delle forze governative.

Da questa inumana strage di civili è nato un forte spirito secessionista nelle due province anglofone, che si sono costituite come lo Stato indipendente dei Ambazonia. Ma la scia di morti lasciati da questo conflitto interno non è cessata: l’ultimo attentato risale al 24 ottobre 2020 quando, nel silenzio generale dei media internazionali, 6 bambini hanno perso la vita in una scuola elementare nella città di Kumba, mentre altri otto sono rimasti feriti sotto i colpi da arma da fuoco. Secondo i funzionari governativi della città la colpa dell’attacco andrebbe ai gruppi di secessionisti anglofoni. 

Queste le drammatiche vicende di due degli stati africani più colpiti da guerre nascoste all’attenzione del mondo occidentale, ma sbirciando nelle biografie dei paesi più poveri del globo gli esempi si moltiplicano. Quanto scalpore mediatico avrebbero fatte le stesse tragedie, se avvenute in un’altra zona del pianeta? Solo perché si tratta di notizie provenienti da un paese culturalmente e socialmente lontano dalla nostra quotidianità, ci arroghiamo il diritto di non considerarle interessanti. Così l’informazione diventa arbitraria e la distanza rispetto ad altre realtà si acuisce sempre più. Le notizie rispetto a queste violenze sotterrate sotto una generale indifferenza sono poche e contraddittorie, spesso affidate a siti sconosciuti o a video amatoriali caricati in rete, piuttosto che ai grandi media mondiali.

La supplica delle vittime che chiedono a gran voce di entrare nelle cronache si scontra con un muro di disinteresse: il resto del mondo sembra essersi dimenticato che non si muore solo di Covid. L’imbarazzante mancanza di informazioni rispetto a questi conflitti getta la memoria delle violenze nell’oblio: i morti diventano fantasmi, le ingiustizie si radicano, il dolore continua e vince la guerra. 

Beatrice Balbinot
Mi chiamo Beatrice, ma preferisco Bea. Amo scrivere, dire la mia, avere ragione e mangiare tanti macarons.

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